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Calcoli, consuntivi e spese: le tre incognite sul personale
Sulle assunzioni per i Comuni la cosiddetta rivoluzione introdotta dal Decreto Crescita fa sorgere, come tutte le modifiche normative, una serie di dubbi applicativi

di TIZIANO GRANDELLI e MIRCO ZAMBERLAN (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Sulle assunzioni per i Comuni la cosiddetta rivoluzione introdotta dal Decreto Crescita (Dl 34/2019 convertito dalla legge 58/2019) fa sorgere, come tutte le modifiche normative, una serie di dubbi applicativi che, per la loro rilevanza, necessitano di risposte immediate da parte degli interpreti istituzionali.

Spese ed entrate
Un primo quesito riguarda la quantificazione del rapporto tra spesa di personale ed entrate correnti. Sia il decreto, sia la bozza del provvedimento attuativo stabiliscono che al numeratore vanno indicate tutte le spese del personale dipendente, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Per questo aggregato non è prevista alcuna esclusione. In altre occasioni, in sede interpretativa, nella quantificazione della spesa di personale, sono state introdotte fattispecie che non vanno conteggiate. Si pensi, ad esempio agli oneri per i disabili, nel limite della quota d’obbligo, per il calcolo della spesa di personale ai fini del rispetto del comma 557 della legge 296/2006. È necessario dunque che venga chiarito se, in questo ambito, per la quantificazione della spesa di personale possano essere esclusi gli oneri relativi ad alcune tipologie di dipendenti o a particolari voci retributive. Al denominatore si parla di media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati. A fronte di questa previsione, è sorta una protesta da parte di numerose amministrazioni comunali, che contestavano come tale quantità fosse influenzata da scelte politiche che hanno portato alla gestione interna ovvero affidata all’esterno di alcuni servizi a cui sono legate specifiche entrate. Bisogna chiarire quindi se, tra le entrate correnti, possano essere compresi anche quegli introiti effettuati per conto dei Comuni da un soggetto terzo al quale è affidata la gestione del relativo servizio. Si pensi, ad esempio, al servizio di gestione dei rifiuti e la Tari.

Il rendiconto di riferimento
Un secondo problema è rappresentato dal riferimento all’ultimo o agli ultimi rendiconti approvati, da cui rilevare una serie di informazioni, quali la spesa di personale e le entrate correnti. Questa fonte è mobile nel tempo: vale a dire che se si deve quantificare oggi la spesa di personale, l’ultimo rendiconto approvato, con ogni probabilità, si riferisce al 2018. Ma se la stessa operazione è effettuata nel mese di maggio 2020, l’ultimo rendiconto approvato riguarda il 2019, perché il termine di approvazione di tale documento è il 30 aprile dell’anno successivo. In questo contesto, è assolutamente necessario capire se le amministrazioni comunali, una volta approvato il rendiconto dell’anno precedente, debbano rivedere i numeri che qui interessano o se vengano cristallizzati i calcoli effettuati in sede di programmazione delle politiche finanziarie e del personale, che, solitamente avviene entro il 31 dicembre dell’anno precedente.

L’aumento del personale
Infine, un terzo rilevante punto di domanda è rappresentato dalla determinazione dell’incremento della spesa di personale per gli enti più virtuosi. Lo schema del decreto attuativo stabilisce, dal 2020 al 2024, percentuali di incremento della spesa di personale riferita all’anno 2018. Ora, che cosa succede se già nel 2019 è aumentata la spesa di personale? Questo aumento va a scomputo degli incrementi previsti per gli anni 2020 e successivi o risulta neutro? Ad esempio, un Comune da 20mila abitanti, dove nel 2019 la spesa di personale, rispetto al 2018, è già cresciuta del 3%, nel 2020 può beneficiare di tutto il 9% di bonus previsto dal decreto attuativo o si deve fermare al 6%, ovviamente fatto salvo il rispetto del primo valore soglia?


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