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Regionalismo differenziato, si riparte dal federalismo fiscale?
Le modifiche negoziate con M5S e Italia Viva alla bozza di legge quadro "Boccia" che si presume approvata a breve dall'Esecutivo

di ETTORE JORIO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Ripartire con il federalismo fiscale, messo da parte colpevolmente per oltre 10 anni, sembra essere la parola d’ordine del Governo per arrivare a una disciplina attuativa univoca sul regionalismo differenziato. È quanto si evince dalle modifiche negoziate con M5S e Renzi alla bozza di legge quadro cosiddetta Boccia che si presume approvata a breve dall’Esecutivo.

I livelli essenziali delle prestazioni
la priorità Il problema è capire se quanto preteso dai due partner di governo sia sufficiente a determinare, finalmente, i livelli essenziali delle prestazioni – riferiti, quantomeno, a sanità, sociale, istruzione e trasporti pubblici locali, garantiti da una perequazione al 100% – e a introdurre la nuova connessa metodologia delle finanza pubblica, fondata su costi/fabbisogni standard supportati, alla bisogna, da quota della perequazione ordinaria. Quest’ultima compensativa delle differenze tra quanto le Regioni più deboli incassino di proprio e quanto calcolato per assicurare alla collettività i primi e le funzioni fondamentali degli enti locali (articolo 117, comma 2, della Costituzione rispettivamente individuati nelle lettere m e p). Al riguardo, sarebbe stata ritenuta sufficiente per raggiungere l’accordo la previsione di un termine per le strutture tecniche di individuare i Lep, che – per quanto sanzionato – potrebbe essere causa di un altro inadempimento da aggiungere a quelli numerosissimi che hanno ritardato sino ad oggi l’attuazione della legge 42/2009 e dei suoi decreti delegati del biennio 2010/2011.

La ridistribuzione solidaristica per partire uguali
L’altra richiesta accolta dal Governo ha riguardato l’attivazione della perequazione infrastrutturale, relazionata agli investimenti previsti per le aree più deboli del Sud per circa 3,4 miliardi in dieci anni. Una previsione apprezzabile che, così come l’altra, abbisogna tuttavia di una maggiore chiarezza realizzativa, solo che non si vogliano usare entrambe come sasso buttato nello stagno per conseguire l’ok politico-parlamentare alla proposta bozza di legge quadro. Un escamotage limitato, pertanto, a fare rumore e schizzi inutili e non certo a realizzare il cambiamento radicale del sistema di finanziamento pubblico territoriale direttamente funzionale a rendere su tutto il territorio nazionale uguali prestazioni e servizi, riferiti ai diritti di cittadinanza. Il tutto, con – a valle – la rideterminazione coordinata, per le Regioni che lo pretenderanno, delle loro competenze legislative/regolamentari secondo l’articolo 116, comma 3, della Costituzione.

Le perplessità del buon padre di famiglia
Una preoccupazione legittima a causa della triste esperienza vissuta dal 2001 sino a oggi con le neoprevisioni costituzionali allora insediate, ma non rispettate, riguardanti: – nell’articolo 117, l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali da garantire a tutti e ovunque; – nell’articolo 119, l’introdotta autonomia finanziaria del sistema autonomistico, esercitato attraverso tributi ed entrate propri, compartecipazioni al gettito erariale e la «teorica» istituzione di un fondo perequativo, mai costituito; – per l’appunto, nell’articolo 116, introduttivo del regionalismo differenziato. È’ dunque continuato tutto come prima, nonostante l’attuazione dei precetti costituzionali (articolo 117, riferita solo ai Lea determinati con il Dpcm 29 novembre 2001 e ridefiniti con il Dpr 23 aprile 2008 e con l’articolo 119, con la legge delega 42/2009 e i dieci decreti delegati attuativi). Un binomio costi fabbisogni standard, per esempio, per la salute (ma non solo) mai valorizzati, sebbene individuati. Stessa cosa con i fabbisogni standard per gli enti locali, solo di recente tornati di moda dopo i macroscopici errori compiuti a seguito della penosa esperienza dei questionari individuati, predisposti e all’epoca trasmessi alle autonomie locali. E ancora. Con un fondo di perequazione neppure abbozzato, peraltro reclamato prepotentemente, nel suo funzionamento a regime, dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 4/2020 che ha in proposito rimproverato il legislatore per l’inadempienza. In buona sostanza, si è continuato ad andare avanti nei settori più sensibili come se la revisione costituzionale del 2001 non fosse mai avvenuta.

Lo scandaloso inadempimento
Il massimo lo si è raggiunto con la perequazione infrastrutturale, ben prevista nell’articolo 22 della legge delega 42/2009, che aveva trovato pronta attuazione all’epoca con l’adozione del Dm 26 novembre 2011, pubblicato ben sei mesi dopo. Un provvedimento ben concepito che scandiva tempi e modalità della ricognizione del bisogno infrastrutturale del territorio nazionale, prioritariamente del Mezzogiorno, propedeutico a individuare le ineludibili priorità relative per singolo settore di intervento, a partire da quello sociosanitario. Un atto indispensabile per rendere tutti gli enti territoriali uguali al nastro di partenza per fare sì che si realizzasse quell’uguaglianza sostanziale dei servizi da rendere alla collettività e da consolidare nel tempo con le neointrodotte tipologie di finanziamento. Difficile, infatti, fare funzionare, per esempio, una sanità in presenza di alcune Regioni attrezzate delle migliori strutture e tecnologie contrapposte ad altre che hanno il loro rispettivo patrimonio produttivo fatiscente e obsoleto. Un dato, questo, che rende possibile oggi quella mobilità passiva della salute che conta circa 5 miliardi all’anno, sottratti alla regioni povere per arricchire i “ricavi” di quelle più ricche, le solite. L’auspicio Ben venga, la legge quadro Boccia, così come conciliata tra i partner di governo, sulla quale si è avuto tuttavia modo di manifestare qualche perplessità (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 5 dicembre), purché non consenta, in sede di esecuzione, gli stessi errori del tempo remoto, che sembrano però essere più che verosimili, dal momento che prevede tempi e strumenti che hanno il sapore del solito rinvio ad libitum dell’introduzione a regime degli strumenti fondamentali.


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