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Reddito di cittadinanza, la lotta alla povertà riparte da minori e disabili e Comuni
Dopo il primo anno di applicazione i beneficiari sono 2,5 milioni, di cui 791mila occupabili: solo 28mila hanno un impiego. Lavori di pubblica utilità ancora senza piattaforma

di MICHELA FINIZIO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Un anno di reddito di cittadinanza sta per passare e sono diverse le dichiarazioni politiche fatte nelle ultime ore sull’efficacia della prestazione, attualmente erogata a 1,041 milioni di nuclei familiari, per un totale di 2.513.925 beneficiari. Era il 6 marzo 2019 quando è iniziata la raccolta delle prime domande, più di 1,6 milioni quelle pervenute in questi mesi tramite Inps, Caf e Poste Italiane. Da allora, le procedure di erogazione del contributo sono state affinate e, nel corso dei mesi, la misura è stata attuata quasi integralmente. Eppure, restano evidenti alcune “storture” nell’applicazione dello strumento: sono cinque le criticità su cui, da più parti, arriva la richiesta di correttivi.

Il “tagliando” della politica
Lo ha dichiarato anche il premier Giuseppe Conte, rispondendo giovedì scorso al Question Time in Senato: nell’Agenda 2020-2023, che il governo sta mettendo a punto per individuare le prossime linee di intervento, è prevista anche l’attuazione del reddito di cittadinanza «nella sua massima potenzialità, al fine di migliorarne la capacità di contrasto alal povertà e di incentivare il reinserimento socio-economico». Lo aveva già anticipato qualche giorno prima anche il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, dicendo che «quello che non funziona bene è la parte delle politiche attive del lavoro», parte che va migliorata anche secondo la ministra per le Politiche Agricole, Teresa Bellanova. Le proposte di correttivo Premessa la volontà politica di implementare uno strumento che – come ha ricordato il premier Conte – «è in linea con le migliori pratiche di welfare già sperimentate in Ue», gli uffici si sono messi all’opera per capire come renderlo più efficace, senza intaccare le risorse impegnate e magari riutilizzando le risorse annuali risparmiate (il Def e la Nadef stimano complessivamente circa 900 milioni nel 2019). A questo obiettivo guarda il lavoro avviato dall’Alleanza contro la povertà, capitanata dal presidente delle Acli, Roberto Rossini: «Stiamo mettendo a punto un documento – afferma – da presentare al ministero che evidenzia alcuni versanti su cui intervenire».

Quattro profili sotto la lente
Innanzitutto ad essere penalizzate sono le famiglie numerose con minori a carico. La scala di equivalenza adottata per il Reddito di cittadinanza, diversa da quella Isee oppure Ocse, è sbilanciata a favore dei single: assegna un coefficiente pari a 1,00 al primo componente (il single prende il contributo massimo di 500 euro) ed è maggiorata di 0,4 per ogni ulteriore maggiorenne e di 0,2 per ogni minore nel nucleo familiare, fino un massimo di 2,1 (2,2 se è presente un disabile). In pratica, è previsto solo un 20% di contributo aggiuntivo per ogni figlio minorenne. Di riflesso, gli ultimi dati a disposizione (Osservatorio statistico Inps, aggiornato al 7 gennaio 2020, su reddito e pensione di cittadinanza) confermano che la distribuzione dei beneficiari è sbilanciata a favore delle famiglie senza minori, in particolare quelle con due e soprattutto un solo componente: queste ultime sono 664mila rispetto ai 377mila nuclei con minori. Inoltre, i single sono il 39% dei beneficiari con 391 euro di assegno medio e una famiglia di 4 persone senza minori prende quanto una famiglia con sei o più componenti, tra cui bimbi (circa 600 euro mensili). La stessa scala di equivalenza, inoltre, impatta anche sulle soglie reddituali necessarie per accedere al contributo, tanto che nuclei familiari con lo stesso Isee possono essere inclusi o esclusi in base alla numerosità dei componenti: per una famiglia con tre minori il reddito (non l’Isee) deve essere inferiore a 15.360 euro, mentre per il single la soglia si ferma a 9.360 euro. Sotto la lente anche la maggiorazione, considerata troppo timida, per i nuclei con disabili (in tutto 214mila quelli beneficiari, per un totale di circa 510mila persone coinvolte): l’importo medio erogato a una famiglia con disabili varia di pochissimo (487 euro) rispetto alla media generale del contributo (493 euro). A questi profili si aggiungono quelli degli stranieri e dei senza fissa dimora, ritenute penalizzate da criteri troppo stringenti. Per i primi è necessaria la residenza in Italia per un minimo di dieci anni, gli ultimi due consecutivi, tanto che la quota di beneficiari extracomunitari rispetto al totale (il 6%) è decisamente inferiore a quella dei medesimi in situazione di povertà assoluta (circa ⅓ sul totale). Per i senza dimora, invece, oltre al problema della residenza fittizia – non dovunque istituita – rimane il paradosso di non poter fruire del contributo all’affitto pari a 280 euro al mese, destinato hai beneficiari che hanno un contratto di locazione in essere.

Il nodo delle politiche attive
In questi mesi, infine, si è fatto molto per avviare la fase 2, quella delle politiche attive di sostegno socio-economico ai beneficiari. Eppure i risultati ancora sembrano non arrivare: i beneficiari del reddito di cittadinanza in Italia oggi sono 2,3 milioni, di cui circa 791mila risultano occupabili. Al 10 dicembre 2019, però, coloro che avevano trovato lavoro erano solo 28mila, cioè il 3,6% del totale (dati Anpal), e quasi tutti negli ultimi mesi dell’anno scorso. Il lavoro dei centri per l’impiego è partito in ritardo e bisognerà aspettare per fare un vero bilancio. Nel frattempo, però, il coordinamento con i servizi sociali dei Comuni attende ancora chiarimenti. I criteri di ripartizione dei beneficiari tra i due uffici sono stati stabiliti per legge, ma le situazioni di maggiore fragilità spesso richiedono un intervento congiunto oppure un’analisi preliminare. «Va ottimizzata la presa in carico di quei nuclei che spesso manifestano bisogni ulteriori all’inclusione lavorativa e una molteplicità di problematiche», aggiungi Rossini delle Acli. Ad esempio la perdita di lavoro, i figli minori, situazioni di dipendenze e disabilità). Sul punto, rimane ancora da definire l’accordo sui criteri di rinvio dei beneficiari dai Centri per l’impiego ai Comuni, su cui è stato attivato un tavolo ministeriale. In questo senso, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (Anci) auspica l’avvio di un percorso per individuare «criteri condivisi di smistamento» della platea tra Comuni e centri per l’impiego: «Questa valutazione non può essere affidata ad automatismi sulla base di alcuni indicatori», afferma Samantha Palombo, responsabile dell’area Welfare per l’Anci.

Il ruolo dei Comuni
Restano ancora fermi, infine, i progetti di pubblica utilità (Puc) dei Comuni che finalmente possono decollare, dopo il decreto ministeriale pubblicato il 14 di gennaio 2020 in Gazzetta ufficiale (in attesa di registrazione da parte della Corte dei Conti). Si tratta di progetti a cui i beneficiari del reddito di cittadinanza sono tenuti a partecipare, per almeno 8 ore settimanali (aumentabili fino a 16), se non esonerati. Molti Comuni sono già pronti, ma sulla piattaforma del ministero del Lavoro ancora non è possibile caricarli. «Il ruolo dei Comuni – aggiunge Palumbo – si vedrà nei prossimi mesi. In passato la non piena operatività della piattaforma informatica ha rallentato la possibilità degli enti di svolgere le funzioni legate ai controlli anagrafici e all’invio dei dati. E ora si è ancora in attesa della sezione dedicata ai Puc».


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