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L'ente non deve motivare la scelta di mettere a gara il servizio
L'obbligo di motivazione sussiste soltanto nel caso di internalizzazione del servizio mediante costituzione di una società in house: le valutazioni dei giudici amministrativi

di MICHELE NICO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

In sede di annullamento d’ufficio degli atti mediante esercizio di autotutela la Pa non è tenuta a motivare il ricorso alla gara pubblica per la gestione del servizio, dacché l’obbligo di motivazione sussiste soltanto nel caso di internalizzazione del servizio mediante costituzione di una società in house. Questo il principio affermato dal TAR Lecce conla sentenza n. 2066/2019, con riferimento alla controversia insorta in tema di stabilizzazione tra alcuni lavoratori precari, adibiti ai servizi di manutenzione del verde pubblico e pulizia degli edifici municipali, e un Comune pugliese.

La decisione
In un primo tempo l’ente aveva puntato a stabilizzare i ricorrenti mediante la costituzione di una società in house preposta alla gestione dei suddetti servizi, ma poi il Comune, rivedendo la propria scelta, aveva deciso di ritornare sui propri passi con l’adozione di una delibera di annullamento, che è stata impugnata per violazione di legge ed eccesso di potere, con riguardo all’applicazione dell’articolo 21-nonies della legge 241/1990 (annullamento d’ufficio in autotutela). Nel trattare la questione i giudici hanno osservato che «l’in house costituisce un microcosmo giuridico dotato di regole proprie, aventi carattere speciale rispetto alle previsioni normative» e destinate pertanto a prevalere su queste. L’affermazione è suffragata da un’accurata ricostruzione normativa che prende le mosse dalle direttive europee 2014/23/Ue, 2014/24/Ue e 2014/25/Ue, e che rievoca il quadro normativo vigente, costituito dagli articoli 5 del Dlgs 50/2016 e 16 del Dlgs 175/2016 (testo unico sulle partecipate), nonché dall’articolo 192 del Dlgs 50/2016 (codice dei contratti), da interpretarsi alla luce delle linee guida dell’ANAC in materia (delibera n. 235/2017 e successive modifiche). In particolare, il comma 2 dell’articolo 192 del Dlgs 50/2016, a cui la delibera n. 235/2017 ha dato esecuzione, impone all’ente affidante un obbligo di motivazione preventiva con cui valutare la congruità economica dell’offerta del soggetto in house, con riferimento ai seguenti elementi: – oggetto; – valore della prestazione; – ragioni del mancato ricorso al mercato; – benefici per la collettività della forma di gestione prescelta; – obiettivi plurimi di universalità e socialità, efficienza, economicità e qualità del servizio; – impiego ottimale delle risorse pubbliche. In questa cornice, la legittimità del ricorso all’affidamento in house richiede da un lato la sussistenza dei requisiti giuridici previsti per questo genere di affidamento, e, dall’altro, la dimostrazione che la deroga al principio della concorrenza nel mercato sia giustificata da obiettivi di interesse generale.

La precedente giurisprudenza
Già prima dell’entrata in vigore di questo impianto normativo la giurisprudenza aveva chiarito che la scelta dell’ente locale sulle modalità di organizzazione dei servizi pubblici locali, e in particolare l’opzione tra modello in house e ricorso al mercato, deve basarsi sui rigorosi parametri d’esercizio delle scelte discrezionali, e cioè: – valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati coinvolti; – individuazione del modello più efficiente ed economico; – adeguata istruttoria e motivazione. Trattandosi di una scelta discrezionale, la stessa è sindacabile ove essa «appaia priva di istruttoria e motivazione, ossia viziata da travisamento dei fatti, palesemente illogica o irrazionale» (Consiglio di Stato sentenza n. 762/2013). In seguito, come si è detto, il legislatore ha tradotto questi principi sul piano normativo, tenuto conto delle direttive comunitarie del 2014. Lo scenario descritto ha indotto il TAR Puglia ad assumere una linea di rigore nei confronti dell’in house providing, tanto da asserire che le vigenti previsioni normative «pongono su un piano di subalternità gli affidamenti in house, valorizzando la necessità di motivazione analitica sulla opportunità di affidamento del servizio senza gara, al fine di evitare violazione dei principi eurounitari e nazionali in tema di tutela della concorrenza, di apertura al mercato e di massima partecipazione alle gare». I giudici si spingono a scrivere che, allo stato attuale, «la regola generale è quella dell’esternalizzazione del servizio», con la conseguenza che nel disimpegno della propria attività l’amministrazione non è tenuta a motivare il ricorso alla gara pubblica, bensì unicamente la deroga a questo principio mediante l’opzione dell’in house e il ricorso all’autoproduzione di servizi. Di qui il rigetto del ricorso proposto dai lavoratori, stante l’infondatezza del gravame avente a oggetto la carenza d’istruttoria in sede di annullamento della delibera volta a costituire la società in house, in alternativa alla gara pubblica per l’affidamento dei servizi.


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