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Per Quota 100 e Reddito di cittadinanza si cambia
Sulla riforma delle pensioni il governo accelera: l'obiettivo è arrivare a una soluzione "strutturale e di orizzonte quantomeno decennale" da proporre nella prossima Manovra

di GIORGIO SANTILLI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Sulla riforma delle pensioni il governo accelera. L’obiettivo è arrivare a una soluzione «strutturale e di orizzonte quantomeno decennale» da proporre nella prossima Legge di Bilancio anticipando i principi base nella Nota di aggiornamento al Def di settembre. A dirlo in chiaro è stata ieri la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo, che nell’incontro con i sindacati ha annunciato un’agenda molto stretta e fatta di tavoli tecnici. Si aprirà il 3 febbraio con un focus sulle pensioni di garanzia per i giovani per poi proseguire il 7 sulla rivalutazione delle pensioni vigenti. E ancora, il 10 per affrontare il nodo della flessibilità in uscita alternativa a quota 100 e il 19 per discutere di pensioni complementari. Entro marzo una verifica politica con le parti sociali. Ieri la Catalfo, a conferma che il cantiere pensioni si riapre davvero, ha annunciato che è pronto il decreto per la costituzione di un gruppo di esperti che affiancherà il ministero su tutte le istruttorie tecniche, mentre sono in arrivo anche le due commissioni previste dalla legge di Bilancio: una per valutare i profili di gravosità dei lavori che possono meritare uscite anticipate e, l’altra, per affrontare la questione della separazione della spesa previdenziale da quella assistenziale. L’Esecutivo – ha detto la ministra – «si prefigge di superare la Fornero». L’idea è di portare a termine la sperimentazione di quota 100 e, «contemporaneamente aprire una nuova flessibilità». Alla domanda se la nuova riforma partirà nel 2021 oppure nel 2022 Catalfo ha risposto: «Vedremo, dipende dalle risorse». All’incontro di ieri ha partecipato una delegazione del ministero dell’Economia (Laura Castelli, Antonio Misiani, Pier Paolo Baretta), e l’Inps con il presidente Pasquale Tridico. I sindacati, nell’articolazione delle diverse posizioni, chiedono una flessibilità in uscita non penalizzante rispetto a quota 100, partendo da 62 anni di età minima o 41 anni a prescindere dall’età come riferimenti di partenza. L’essenziale è che la nuova riforma garantisca stabilità al sistema – ha affermato il segretario della Cgil, Maurizio Landini – mentre Carmelo Barbagallo (Uil) ha chiesto, tra l’altro «una riduzione delle tasse sui pensionati e una legge sulla non autosufficienza». La Cisl, con Luigi Sbarra, ha citato tre capitoli da cui recuperare risorse da «canalizzare» nella riforma: il minor utilizzo di quota 100, Ape sociale e lavori precoci: «Tre voci i cui risparmi possono essere in parte reinvestiti».

Tra le ipotesi legislative che potrebbero prendere forma al termine di questo confronto c’è il varo di nuove norme di accesso agevolato alle pensioni con una clausola di salvaguardia che confermi quota 100 fino alla sua scadenza nel 2021. In questo modo si eviterebbe una corsa agli sportelli Inps da parte di chi nei prossimi mesi maturerà i requisiti 62+38 e, nel contempo, si realizzerebbero i parziali risparmi (in realtà un minore indebitamento) utili per finanziare le nuove misure di flessibilità. Reddito di cittadinanza, avanza il restyling per incentivare il lavoro Anche sul lavoro, la priorità è puntare su crescita e occupazione. In quest’ottica, si rafforza l’ipotesi di un intervento per correggere il reddito di cittadinanza, che finora non ha prodotto i risultati attesi in chiave di ri-attivazione dei disoccupati. Il Pd, per voce della sottosegretaria al Lavoro, Francesca Puglisi, indica alcuni miglioramenti alla misura. Intanto, si propone di incentivare l’accettazione di occupazioni anche a tempo parziale o che danno un basso reddito, come avviene in altri Paesi. Come? «Aumentando lo sconto o la soglia del reddito guadagnato – risponde Puglisi – per rendere più vantaggioso lavorare piuttosto che stare a casa con il sussidio».

Poi, bisogna cercare di slegare i destini di ogni componente del nucleo familiare dal percettore del reddito, altrimenti il “disincentivo” al lavoro è collettivo. I dem pensano anche ad aprire i centri per l’impiego alla collaborazione con le agenzie per il lavoro private per rendere più “performante” l’assegno di ricollocazione, che deve, poi, essere ripristinato per i percettori di Naspi. Insomma, il modello da cui ripartire deve essere quello “emiliano”, ha aggiunto Puglisi; vale a dire un “patto per il lavoro” coinvolgendo tutti, parti sociali in primis. Ed è proprio dall’ascolto di imprese e sindacati che, in vista dell’azione di rilancio del governo, entra in pista anche il decreto dignità. Qui, ricorda Puglisi, sono proprio le parti sociali a chiedere modifiche sui contratti a termine. In particolare, si preme per eliminare l’addizionale dello 0,5% sui rinnovi e la rigida definizione normativa delle causali, che vanno affidate invece alla contrattazione collettiva per meglio adattarle alle specificità dei singoli settori produttivi. Il decreto dignità, secondo Puglisi, è condivisibile nell’obiettivo di contrastare il precariato selvaggio, ma alcune sue rigidità stanno generando più turn-over che maggiore stabilità a causa, soprattutto, degli aumenti esponenziali dei costi per ciascun rinnovo. È quindi urgente un intervento. A confermarlo, del resto, sono gli stessi numeri: nel 2019 sono aumentate le aperture di nuove partite Iva individuali e sono crollate le assunzioni a tempo e in somministrazione, che come noto rappresentano contratti di lavoro più tutelanti per i lavoratori.


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