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I Comuni pignorano già le tasse locali? Sì. Cosa cambia con la riforma
Negli ultimi giorni è curiosamente tornata di stretta attualità la riforma della riscossione locale: facciamo chiarezza

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Negli ultimi giorni è curiosamente tornata di stretta attualità la riforma della riscossione locale anticipata dal Sole 24 Ore lo scorso 9 ottobre e pochi giorni dopo inserita nella legge di bilancio. La polemica è esplosa davanti all’immagine di Comuni che pignoreranno direttamente i conti correnti dei debitori per recuperare tasse locali e multe non pagate. C’è chi ha parlato di «regole da Unione Sovietica», il governo ha prima tentennato con un «non mi risulta» pronunciato dal premier Conte di fronte all’ipotesi dei Comuni pignoranti, poi ha avviato una timida difesa della riforma. Il Sole 24 Ore ha sempre raccontato – sia sulla carta, sia sul sito – in modo preciso i termini della riforma. Ma per capirne nel dettaglio i contenuti, è bene chiarire preliminarmente qualche aspetto.

Che cosa non cambia
Primo: i Comuni già oggi possono attivare azioni esecutive per recuperare i propri crediti, e l’azione esecutiva classica è proprio il pignoramento del conto corrente. La riforma, sul punto, non cambia nulla. Secondo: la riforma prevede per le entrate tributarie (Imu, Tasi e compagnia) e patrimoniali dei Comuni il cosiddetto «accertamento esecutivo», che non è esattamente un inedito. Perché l’agenzia delle Entrate lo utilizza da 8 anni. La riforma non fa altro che estenderlo ai Comuni. Terzo: sulle azioni esecutive i sindaci non potranno fare nulla di diverso da quello che già fanno oggi. Sia quando portano avanti autonomamente la riscossione coattiva o sia quando, come accade più frequentemente, la affidano agli agenti della riscossione, quello nazionale o quelli locali a seconda delle diverse scelte amministrative. Quarto, già che ci siamo: le multe dovrebbero essere escluse dalle nuove procedure, perché sono sì «entrate patrimoniali» ma sono disciplinate dal Codice della Strada. La norma scritta nella legge di bilancio non risolve questa incognita, ma un chiarimento sarebbe utile per via emendativa.

La riscossione nel limbo
Queste quattro precisazioni sono sufficienti a cancellare almeno il 90% del dibattito incendiario degli ultimi giorni. Ma vista l’attenzione che promette di continuare quando la legge di bilancio entrerà nel vivo del dibattito parlamentare, è il caso di capire meglio come funzionano la riscossione locale e la sua riforma. Con una premessa: a promettere la riscrittura delle regole per i meccanismi di raccolta delle entrate locali è stato il governo Berlusconi. Nell’estate del 2010 approvò un decreto con un articolo, il 7, che prometteva “semplificazioni fiscali”. Alle lettere gg-ter e seguenti del comma 2 si occupava di riscossione locale. Forse anche questa collocazione infelice ha contribuito alla mancata attuazione della riforma, con il risultato che la raccolta delle entrate locali è rimasta nel limbo fino a oggi.

Come funziona oggi
Il primo passo per provare a incassare le entrate che non vengono versate spontaneamente dai contribuenti è l’emissione di un atto di accertamento, che viene notificato al diretto interessato. Se dopo 60 giorni il destinatario rimane in silenzio, nel senso che non impugna l’atto ma nemmeno paga la somma richiesta, il Comune si rivolge all’agente della riscossione. Per i Comuni (meno della metà del totale) che ancora si affidano all’agenzia delle Entrate-Riscossione, la procedura sfocia in una cartella. Per gli altri, la maggioranza, si procede con l’ingiunzione di pagamento, strumento modernissimo introdotto dal Regio decreto 639 del 1910. Si avvia così la «riscossione coattiva»: passati altri 60 giorni dalla notifica, senza impugnazione e senza pagamento, si può passare alle azioni esecutive: per esempio il pignoramento dei conti correnti.

Come funzionerà con la riforma
Con l’accertamento «esecutivo», si unificano in pratica le prime due tappe della riscossione. Perché essendo appunto «esecutivo», l’atto di accertamento non ha bisogno di trasformarsi in una cartella o in un’ingiunzione. Quindi il Comune emetterà l’atto di accertamento, attenderà i 60 giorni canonici, e senza mosse del contribuente tornerà a bussare all’agente della riscossione che lo renderà esecutivo nei successivi 30 giorni. A quel punto potranno partire le azioni esecutive. Sui pignoramenti che cosa cambia? Nulla. Anche perché la riforma non concede agli enti locali l’accesso all’anagrafe dei conti correnti. Come fanno da anni, quindi, i Comuni dovranno chiedere l’autorizzazione al presidente del Tribunale, e con in mano questo via libera presentarsi all’agenzia delle Entrate, pagare pochi euro e ottenere l’elenco (non la giacenza) dei conti correnti del contribuente moroso. Una pratica che le amministrazioni seguono da anni, senza particolari polemiche


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