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Regioni libere di decidere sul trattamento economico del personale
La scelta non può essere considerata illegittima anche se in tal modo si deroga al tetto stabilito dal d.lgs. 75/2017: le valutazioni della Corte Costituzionale

Dal Sole 24 Ore – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Le Regioni possono disporre con propria legge l’aumento delle risorse per il trattamento economico del personale; la scelta non può essere considerata illegittima anche se in tal modo si deroga al tetto stabilito dal d.lgs. 75/2017 – cioè le somme previste come salario accessorio nel 2016 – in quanto non si può far rientrate nell’ambito delle disposizioni sull’ordinamento civile. Può essere così riassunta l’indicazione di maggiore rilievo contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 232, depositata ieri, che ha rigettato l’eccezione sollevata dal Governo sulla legge con cui la Regione Sardegna ha disposto l’aumento delle risorse destinate al trattamento economico del personale di un proprio ente per omogeneizzarlo con quelli della Regione e degli altri enti regionali. Si deve evidenziare, inoltre, che la sentenza non si limita a rigettare nel merito il ricorso ma lo dichiara inammissibile, quindi esprime una censura ancora più pregnante.

Nel caso specifico si tratta di una disposizione che ha un carattere limitato a uno specifico ente e che è stata adottata per consentire l’omogeneizzazione del trattamento accessorio in una amministrazione in cui in precedenza erano presenti vari contratti collettivi. Siamo in presenza di una sentenza che, anche se caratterizzata da una motivazione assai sintetica e che si riferisce a un caso particolare, ha un carattere sostanzialmente innovativo in quanto limita in misura significativa l’estensione della nozione di ordinamento civile, mettendola in diretta correlazione solamente con le scelte rimesse alla contrattazione decentrata. Il che determina, come effetto concreto, un ampliamento assai rilevante degli ambiti entro cui la legislazione regionale può intervenire nella disciplina dei costi e del finanziamento del trattamento economico accessorio dei propri dipendenti. Stupisce che, tanto nel ricorso presentato dal Governo quanto nelle argomentazioni della Corte ostituzionale, non vi sia il richiamo al principio del rispetto dei vincoli di finanza pubblica che viene ritenuto in modo consolidato nella giurisprudenza della Consulta come un argine ulteriore alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni, sia a statuto speciale che a statuto ordinario.

La sentenza rigetta la contestazione per la quale l’intervento legislativo regionale di aumento delle somme destinate al salario accessorio dei dipendenti di un proprio ente costituirebbe una violazione della competenza esclusiva dello Stato in tema di ordinamento civile. Ciò non si realizza, ci dice la sentenza, perché la norma impugnata non «regola direttamente un aspetto della retribuzione», cioè non interviene su una materia riservata alla contrattazione collettiva. Ricordiamo che la scelta di riservare alla contrattazione collettiva la disciplina del trattamento economico costituisce uno dei punti che caratterizzano l’ordinamento civile: siamo dinanzi a uno dei cardini della cosiddetta privatizzazione e/o contrattualizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici. È questo, quindi, l’aspetto centrale della pronuncia: il rispetto della competenza statale in materia di ordinamento civile si traduce in pratica nella conclusione che le Regioni non possono intervenire con proprie disposizioni nella scelte contrattuali mentre su ciò che si pone al di fuori di questo ambito è consentito loro legiferare. Non rientra nell’ambito dei contratti la fissazione del tetto delle risorse destinate al salario accessorio: la contrattazione collettiva infatti interviene a valle di tale scelta ovvero opera nell’ambito delle risorse così quantificate, per cui non vi è quel nesso diretto e immediato con la contrattazione che costituisce la condizione indispensabile per potere ascrivere la materia all’ordinamento civile. Si deve infine evidenziare che la sentenza giudica inammissibile il ricorso anche perché non ha dato concreta dimostrazione delle ricadute che la legge regionale potrebbe determinare sul trattamento accessorio. Il ricorso è su questo aspetto generico ed incerto.


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