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Allo Stato 42 miliardi di debito locale
Nella Legge di Bilancio 2020 entra anche la ristrutturazione dei 42 miliardi di debito degli Enti locali

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Nella Legge di Bilancio entra anche la ristrutturazione dei 42 miliardi di debito degli enti locali. La prospettiva è quella di un salva-Roma generalizzato, con il passaggio allo Stato della titolarità dei mutui accesi negli anni scorsi dai sindaci e dai presidenti di provincia. Il tutto, però, «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Come è possibile? L’esempio arriva proprio quello del salva-Roma che pochi mesi fa aveva fatto traballare pesantemente l’allora maggioranza gialloverde: lo Stato è controparte più solida e forte rispetto a un Comune, e il passaggio del debito al suo portafoglio abbassa in modo più o meno drastico a seconda dei casi il tasso d’interesse chiesto dal creditore.

Una «mossa enorme»
La mossa è enorme. Oggi il debito dei soli Comuni, cioè della parte largamente maggioritaria di un comparto che comprende anche Province e Città metropolitane, non è un problema in termini di stock, perché vale secondo gli ultimi dati appena presentati da Ifel 37,7 miliardi, cioè l’1,6% del debito pubblico totale). E soprattutto è in discesa costante dal 2011, quando viaggiava a quota 48,6 miliardi. Il quadro però cambia quando si guarda ai conti dei singoli Comuni. Perché spesso i mutui sono stati contratti anni fa, e di conseguenza si portano dietro tassi di interesse elevati e lontanissimi dal mondo attuale degli interessi vicini allo zero. Il risultato è che i vecchi mutui schiacciano i conti. Soprattutto quando il Comune, e il suo bilancio, sono piccoli. In circa 900 municipi, cioè l’11,7% del totale, i tassi di interesse si mangiano più del 18% della spesa corrente, sottraendo per la voce più improduttiva le risorse che andrebbero invece dedicate a servizi e manutenzioni ordinarie. In altri 1.700 enti, il 22% del totale, il debito assorbe una quota che oscilla fra il 12 e il 18 per cento della spesa. E il problema, come mostrano i dati mostrati la scorsa settimana dall’Ifel nella sua Assemblea nazionale, non conosce grosse distinzioni fra Nord e Sud del Paese. Solo il 42,1% dei Comuni italiani ferma le spese per il debito sotto l’8% del totale delle uscite, limite che sarebbe considerato fisiologico anche in base alle previsioni del Testo unico degli enti locali. Oggi Comuni, Province e Città metropolitane pagano circa 1,8 miliardi all’anno di interessi sui finanziamenti a medio e lungo termine: l’obiettivo, secondo calcoli di massima non ancora ufficiali, è di risparmiare almeno un miliardo, tagliando questa spesa del 60 per cento.

Modalità da definire
In che modo? La norma finora inserita nella legge di bilancio non entra dei dettagli, e affida il tutto a un decreto dell’Economia da scrivere entro febbraio. Ma si tratta del classico gancio destinato a svilupparsi nel lavoro parlamentare. Il lavoro tecnico al ministero dell’Economia però è in pieno corso, e costruisce una serie di scenari elaborati anche in base agli studi condotti pochi mesi fa per il salva-Roma. Il più “semplice” prevede il passaggio del debito allo Stato, con la conseguente riduzione del tasso di interesse e quindi della rata, il cui pagamento rimarrebbe però in capo al vecchio debitore. Questo vale soprattutto per i mutui bancari, che risentono direttamente del merito di credito del debitore. Una grossa fetta di debito locale è però con Cassa depositi e prestiti, e in questo caso la prospettiva sarebbe diversa. Perché il trasferimento dei mutui al Tesoro potrebbe portare all’estinzione anticipata del finanziamento, con il pagamento di una penale che sarebbe comunque inferiore rispetto al costo attuale del debito. Anche in quel caso, insomma, il risultato per il consolidato della Pa sarebbe positivo. Sempre, ovviamente, che tutti gli incastri tecnici vadano al loro posto nel confronto in corso con Cdp e banche.


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