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Amministratori locali, la riduzione volontaria dell'indennità di carica non vincola gli esercizi futuri
Sintesi della deliberazione della Corte dei conti Abruzzo n. 113/2019

di MICHELE NICO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La rinuncia volontaria a una parte dell’indennità di funzione spettante al sindaco e agli assessori non ha alcuna influenza sull’ammontare della stessa per gli esercizi successivi, con la conseguente possibilità per il Comune di rideterminare discrezionalmente i relativi importi, purché nell’ambito dei limiti massimi definiti dal Dm 119/2000 in ragione della dimensione demografica dell’ente. Con la delibera n. 113/2019 la Corte dei conti dell’Abruzzo, si è espressa sull’argomento delle indennità, mettendo in chiaro che il rigore nell’osservanza delle norme a presidio dei vincoli di finanza pubblica va temperato con un parametro di doverosa equità nei confronti di coloro che ricoprono la carica di governo locale. Di conseguenza, i magistrati contabili osservano che «le indennità di funzione non possono essere soggette a un congelamento rapportato a un determinato momento storico e mantenuto negli esercizi futuri, per il solo fatto che circostanze di natura personale ( ) abbiano potuto incidere sugli importi spettanti».  Secondo i giudici, infatti, non è condivisibile che «gli importi decurtati per motivazioni soggettive vengano a costituire una base storica sulla quale rapportare le medesime indennità̀ anche per le successive tornate elettorali». Il perimetro entro cui il Comune può esercitare la propria discrezionalità è stato accuratamente delineato dal legislatore, dacché il processo di spending review degli ultimi anni, finalizzato a una revisione della spesa pubblica, non ha risparmiato la materia delle indennità per gli amministratori degli enti locali.

Il quadro normativo
La disciplina in materia è dettata dall’articolo 82 del Tuel, nonché dal Dm 119/2000 che, in via attuativa, ha determinato in concreto le indennità di funzione e i gettoni di presenza per i componenti degli organi di governo. In seguito l’articolo 1, comma 54, della legge 266/2005 (Finanziaria 2006), intervenendo su questo impianto normativo, ha stabilito che per esigenze di coordinamento della finanza pubblica gli emolumenti “fossero rideterminati in riduzione nella misura del 10 per cento rispetto all’ammontare risultante alla data del 30 settembre 2005». L’articolo 76, comma 3, del Dl 112/2008 convertito dalla legge 133/2008, è successivamente intervenuto sull’articolo 82, comma 11, del Tuel eliminando ogni possibilità di incremento di indennità di funzione e gettoni di presenza rispetto alla misura predeterminata. Da ultimo, l’articolo 5, comma 7, del Dl 78/2010 convertito dalla legge 122/2010, ha previsto un’ulteriore riduzione delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza per un periodo non inferiore ai 3 anni e in una misura variabile, a seconda delle dimensioni demografiche dell’ente, rinviandone tuttavia l’attuazione a un decreto ministeriale poi non emanato.

Una decisione in controtendenza
La Corte dei conti si è pronunciata più volte avvertendo che, trattandosi di normativa finalizzata al contenimento della spesa pubblica, va privilegiata un’interpretazione coerente con i principi di sana gestione finanziaria e va dunque esclusa la possibilità per gli enti di modificare autonomamente l’importo delle indennità di carica. In questo contesto, la decisione appare in controtendenza dato che il relativo parere, allineandosi alle conclusioni della sezione autonomie (delibera n. 35/2016/Qmig) ammette la possibilità di una rideterminazione in aumento degli emolumenti, ancorché nel solo caso in cui l’ente abbia definito i precedenti importi entro limiti ridotti a seguito di una rinuncia volontaria dell’amministratore a una parte della relativa indennità.


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