MAGGIOLI EDITORE - La Gazzetta degli Enti Locali


Otto Regioni innescano il referendum sulla legge elettorale (mentre avanza il voto ai 16enni)
L'obiettivo è cancellare la parte proporzionale del Rosatellum (quasi il 65%) per trasformare il sistema in un maggioritario con tutti collegi uninominali

di EMILIA PATTA (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.
Veneto, Sardegna, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Abruzzo, Liguria e Basilicata. Con il deposito in Cassazione da parte di ben otto Regioni a guida centrodestra del quesito referendario sulla legge elettorale – quesito che mira a cancellare la parte proporzionale del Rosatellum (quasi il 65%) per trasformare il sistema in un maggioritario con tutti collegi uninominali – Matteo Salvini prova a entrare a gamba tesa nel dibattito interno alla maggioranza giallo-rossa sulla riforma elettorale. Chiaro l’intento di stoppare l’ipotesi di un ritorno al proporzionale alla base dell’accordo di governo tra M5s e Pd: un proporzionale, sia pure con soglia al 5%, sarebbe deleterio per il leader della Lega perché non basterebbe più alla coalizione da lui guidata raggiungere il 40% circa dei consensi per avere la maggioranza assoluta dei seggi come avverrebbe con il Rosatellum.
Ora spetta alla Cassazione
La questione ora passa ai giudici: prima la Cassazione per il controllo formale poi la Corte costituzionale per il controllo sostanziale (la decisione dei giudici costituzionali dovrebbe arrivare a gennaio 2020). Tuttavia il quesito messo a punto da Roberto Calderoli è già stato bollato come inammissibile da molti costituzionalisti: come spiega il deputato dem Stefano Ceccanti, «il quesito è palesemente inammissibile perché non auto-applicativo, dal momento che mancano i collegi uninominali in cui votare».
La Consulta ha storicamente ammesso i referendum sulla legge elettorale solo nel caso in cui sono autoapplicativi, dal momento che una democrazia non può vivere sia pure per un breve periodo nell’impossibilità di tornare al voto se necessario. Ora, è vero che il quesito di Calderoli inserisce la delega al governo per disegnare i collegi nel restante 65% del territorio nazionale, ma l’autoapplicatività deve valere dal giorno del referendum nel caso in cui vincano i sì: non può esserci vuoto normativo neanche per il breve tempo (2 mesi) della delega. Discussione appena avviata su una nuova legge Ad ogni modo, se fidarsi è bene non fidarsi è meglio. A Palazzo Chigi in queste ore è trapelata la preoccupazione del premier Giuseppe Conte: e se inaspettatamente a gennaio la Consulta dovesse ammettere il referendum leghista? Da qui l’input a M5s e Pd a trovare un accordo subito, in tempo per approvare ove necessario una riforma delle legge elettorale già in primavera: se infatti il Parlamento legiferasse in materia prima dell’eventuale svolgimento del referendum, a giugno, il quesito sulla legge preesistente decadrebbe. Ma ci sono le condizioni politiche per arrivare ad un accordo in tempi brevi? In molti ne dubitano.
La discussione appena avviata è naturalmente molto complessa e richiede il tempo necessario, anche per non dare a chicchessia (leggasi Matteo Renzi) la pistola carica di una legge elettorale bella e pronta per chiudere anticipatamente la legislatura. Nei contatti di questi giorni tra M5s e Pd si ragiona comunque su due alternative: o un proporzionale con soglia sufficientemente alta da impedire la frammentazione (5%), ma questa soluzione troverebbe naturalmente l’ostilità dei due junior partner di governo ossia la renziana Italia Viva e la sinistra di Leu; o un maggioritario con doppio turno nazionale tra i primi due partiti o coalizioni. Quel che è certo è che per l’attuale maggioranza di governo la soluzione a cui mira il quesito di Calderoli è la soluzione peggiore: con tre poli politici il voto collegio per collegio può trasformarsi in una lotteria oppure in un plebiscito in favore del primo partito o coalizione. Il centrodestra a trazione leghista, appunto, almeno stando ai sondaggi del momento.
Il voto ai sedicenni
Intanto, sull’onda della protesta globale dei giovani contro il cambiamento climatico, rispunta l’ipotesi di concedere il voto ai sedicenni: a lanciare l’idea, con un’intervista a Repubblica, è l’ex premier democratico Enrico Letta. Immediato il sì dei leader di M5s e Pd, Luigi Di Maio («i giovani vanno rispettati e ascoltati») e Nicola Zingaretti («ora è il tempo»), e anche della Lega per bocca del capogruppo in Senato Massimiliano Romeo. Infine il sigillo del premier: «Abbassare la soglia per votare a 16 anni per me va benissimo. Ci sta. In altri ordinamenti già lo fanno – ha detto Conte -. Non è iniziata ancora una riflessione di governo ma potremmo farla».

www.lagazzettadeglientilocali.it