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Manovra 2019 e nuovo Governo: servono ancora 15 miliardi
Il vicepremier prometteva alle parti sociali maggiore deficit: vincoli Ue obsoleti e no al salario minimo. Ora cambia tutto con il nuovo Governo

di MARCO ROGARI  e GIANNI TROVATI (da Italia Oggi) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La priorità è la manovra. Lo ha detto a chiare lettere il premier Conte ieri mattina al Quirinale subito dopo aver ricevuto l’incarico. Nelle stesse ore dalla Ue sono arrivate parole di miele. Bruxelles, ha detto il commissario Ue uscente al Bilancio Guenther Oettinger abbandonando la sua abituale posizione di falco, «è pronta a fare qualsiasi cosa per facilitare il lavoro del governo italiano e per ricompensarlo». Parole che hanno subito scatenato la replica del leader leghista Salvini: «Il governo è nato a Bruxelles per farmi fuori».

L’allure europeista dei giallo-rossi, allora, basta a risolvere il rebus della legge di bilancio? Non proprio, numeri alla mano. L’uscita di scena della Flat Tax leghista, che avrebbe richiesto almeno 15 miliardi secondo i desideri del Carroccio, alleggerisce certamente il conto della manovra. Che però, come confermano le linee programmatiche del primo documento Pd-M5S anticipato sul Sole 24 Ore di ieri, punta in ogni caso a mettere in fila una serie di misure impegnative. Lo stop alle clausole Iva, ovviamente, ma anche un primo taglio al cuneo fiscale, il rilancio di incentivi fiscali “verdi” e dei bonus per gli investimenti privati nell’orbita di Impresa 4.0. È presto per dare numeri definitivi: ma tra Iva (23 miliardi), spese indifferibili (almeno 2-3 miliardi), cuneo fiscale (4-5 miliardi) e altri interventi (3-4 miliardi) si arriva in fretta verso quota 35 miliardi. Una cifra che non può certo essere affidata tutta a una ritrovata benevolenza europea. A meno di non dare una nuova (complicata) impennata al debito pubblico.

Il primo aiuto nella caccia alle risorse, in realtà, arriva dal governo Conte-1. E in particolare dalla correzione targata Giovanni Tria che a luglio ha evitato la procedura d’infrazione. Quanto vale ai fini della manovra? Per capirlo bisogna guardare alla linea del deficit. Nel Def di aprile l’indebitamento netto era previsto al 2,4% quest’anno e al 2,1% il prossimo. Dopo la sterzata di luglio, seguita dalla gelata dei tassi d’interesse sui titoli di Stato, è probabile che fra qualche settimana la Nota di aggiornamento al Def riesca a indicare un 1,9% quest’anno, e un 1,6% tendenziale (cioè a legislazione vigente, aumenti Iva compresi) per il prossimo. Accomodante o meno, la Commissione non potrà comunque evitare di chiedere per il 2020 almeno una correzione minima rispetto al 2019. Si può ipotizzare che un’intesa possa quindi orientarsi intorno a un deficit 2020 dell’1,8%. Ecco allora che l’effetto trascinamento della correzione di luglio, oltre 8 miliardi, crea anche uno spazio fiscale “libero” intorno ai 2 decimali di Pil, cioè 4 miliardi.

Su questa base si innesta la possibile flessibilità Ue. In due capitoli. Una parte, da 0,18% del Pil (3,5 miliardi) sarebbe la replica di quella già concessa quest’anno per dissesto idrogeologico e manutenzione infrastrutturale dopo il crollo del Ponte Morandi. Anche il Conte-1 l’avrebbe chiesta, e probabilmente ottenuta. Fin qui, però, la colonna delle “risorse” si ferma intorno a 8 miliardi. La seconda parte di flessibilità potrebbe arrivare dalla richiesta di liberare dai vincoli del Patto una serie di investimenti pubblici, etichettati come Green New Deal, e di spese per «rafforzare la coesione sociale», come propone il documento giallo-rosso sostanzialmente in linea con quanto accaduto anche l’anno scorso. Il passaggio è decisivo, la trattativa è da avviare, ma è difficile immaginare che questa seconda tranche possa superare gli 8-9 miliardi. Anche ottenendo questo risultato, insomma, si arriverebbe a fatica a quota 16-18 miliardi tra eredità della correzione e flessibilità. Per la manovra minima, insomma, ne mancherebbero almeno 15; più probabilmente 16-18 tenendo a riferimento una dimensione da 35 miliardi.

Dimensione che in ogni caso non lascerebbe spazio a misure troppo ambiziose. I 4-5 miliardi per il taglio al cuneo fiscale (che salirebbero a 15 miliardi in tre anni secondo il piano Pd sottoposto al M5S), per esempio, sono già stati bocciati come insufficienti dalle imprese e non solo.
Ma anche così la ricerca delle coperture non è un esercizio semplice. Il documento Pd-M5S richiama l’estensione di e-fattura e scontrino elettronico, che già stanno aiutando i saldi. Per quadrare i conti serve molto altro. Al Mef in questi mesi si è studiato un nuovo tentativo di spending review, e più di un’ipotesi di rimodulazione delle spese fiscali. E il cambio di maggioranza mette un altro strumento possibile sul tavolo: una revisione di quota 100, che costa 8,3 miliardi l’anno prossimo e 8,6 il successivo.
Sul punto le scelte politiche sono ancora tutte da formare. Un dato però è certo. Bruxelles può essere in vena di sconti, ma con un limite: il debito/Pil già in crescita quest’anno per l’economia ferma e il mancato avvio delle privatizzazioni. I bonus possono aiutare a far quadrare i conti del saldo strutturale: ma ogni punto di deficit in più si trasforma in benzina al debito. Anche su questo Roma dovrà offrire nuovi programmi al posto di quelli inattuati quest’anno.

Ma quale era il programma per la Manovra 2019 prima della crisi innescata da Matteo Salvini? Sì a più deficit, no al salario minimo. Il vice premier e leader della Lega Matteo Salvini torna a sedersi al tavolo con le parti sociali, 46 tra sindacati e rappresentanti delle imprese, dopo l’analogo incontro a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Oggetto: la legge di bilancio. Una Manovra, quella delineata da Salvini, che va in netta controtendenza rispetto a quella annunciata in queste settimane dal ministro dell’economia, Giovanni Tria. Due linee diverse, quella di Salvini e di Tria? Risponde lo stesso leader della lega: «È evidente». E poi: «Bisogna ridiscutere con l’Europa alcuni vincoli in base ai quali non potremmo fare niente di tutto quello che ci stiamo dicendo», ha detto Salvini. E dunque «serve coraggio, sulla Manovra no al gioco delle tre carte»: sì a legge di bilancio in deficit, «stare sotto al 2% voluto dalla Ue non si può». Nella Manovra salviniana sì all’abbassamento delle tasse, sull’ordine dei 1015 miliardi, via il bonus degli 80 euro di Renzi, le risorse saranno dirottate sulla decontribuzione, eliminare la Tasi, che vale un miliardo, nell’ambito di una riorganizzazione completa della tassazione sulla casa.

Non c’è spazio invece per il reddito minimo, misura bandiera del Movimento5stelle: «I sindacati hanno evidenziato che sarebbe deleterio. Tutti invece dicono sì ad investimenti ed opere pubbliche». E poi no all’aumento dell’Iva, che scatterebbe come clausola di salvaguardia nel 2020, «sarebbe una mazzata per i consumi». All’incontro erano presenti anche Cgil e Cisl, non però i segretari generali Maurizio Landini e Anna Maria Furlan: «Il tavolo di confronto con il governo deve essere uno solo. Avanti con palazzo Chigi», dicono fonti sindacali. Salvini? «Non ha fatto una bella figura ». È la reazione che filtra dai vertici pentastellati dopo l’incontro parallelo di Salvini sulla Manovra. «Salvini si è improvvisato portavoce dei sindacati ed è stato smentito proprio dai sindacati che hanno riconosciuto Palazzo Chigi luogo uffi ciale dove interloquire con il governo … non ha fatto una bella figura. Lo diciamo da tempo: bisogna fare squadra e non dividere il governo». Attacca il Pd: «Da Lega e Conte due governi diversi».


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