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Autonomia differenziata, Salvini apre a modifiche ma c'è l'incognita governatori
I nodi al momento inestricabili sul percorso verso l'autonomia regionale

di GIANNI TROVATI (da Italia Oggi) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Sarà il peso del passaggio parlamentare a indicare il punto di caduta finale delle tensioni fra Lega e Cinque Stelle sull’autonomia differenziata. Con la possibilità, tutt’altro che teorica, che alla fine l’intesa non si trovi perché i presidenti delle Regioni, a partire proprio dai leghisti del Nord, si vedano recapitare un testo giudicato inaccettabile. Sia Attilio Fontana dalla Lombardia sia Luca Zaia dal Veneto hanno già messo le mani avanti, spiegando di non essere disposti a mettere la firma in calce a una «riforma annacquata» (Zaia) o a una «non riforma» (Fontana). E dall’Emilia Romagna anche Stefano Bonaccini si è detto «stanco del chiacchiericcio» di governo intorno all’autonomia.

Il punto è che oggi a dividere le richieste regionali, le resistenze a Cinque Stelle e qualche timore del ministero dell’Economia ci sono questioni di fondo, non dettagli più o meno risolvibili a suon di correzioni al testo. Tra i sei temi «irrinunciabili» messi in fila dalla Lombardia, ma lo stesso vale per il Veneto, ci sono per esempio la regionalizzazione di Istruzione e Beni culturali. Due siluri per molti esponenti di punta dei Cinque Stelle. Sui Beni culturali, per esempio, il ministro M5s Bonisoli ha appena preparato una riforma che toglie l’autonomia già riconosciuta a realtà come le Gallerie dell’Accademia a Firenze, il museo di Villa Giulia e il Parco dell’Appia Antica a Roma o il Castello Miramare di Trieste. La Lombardia, invece, vorrebbe avere pieni poteri sull’organizzazione dei tanti poli culturali del territorio, dal Cenacolo Vinciano a Brera fino al Parco archeologico di Castelseprio e alle incisioni rupestri della Val Camonica (carissima alla Lega delle origini). Mettere d’accordo queste due impostazioni antitetiche al momento sembra impossibile: o vincono le Regioni o vince lo Stato.

Ancora più esplosiva la questione della scuola, l’unica che porta con sé anche una forte ricaduta finanziaria. Lombardia e Veneto chiedono di regionalizzare i ruoli degli insegnanti, trasferendo sui bilanci di Milano e Venezia gli 8,4 miliardi di euro che ogni anno lo Stato spende per l’istruzione nelle due regioni (il 90% di queste risorse serve agli stipendi degli insegnanti).
Il ministro competente, Marco Bussetti, è leghista. Ma per trovare l’intesa con i sindacati ha firmato due mesi fa un protocollo che fra le altre cose chiede al governo di rafforzare il carattere nazionale della scuola. Perché per i sindacati il «no» alla scuola regionalizzata «è un compito primario di tutte le forze politiche» (appello unitario del 15 febbraio). E tra i Cinque Stelle la stessa impostazione incontra parecchi sostenitori.
L’Emilia Romagna ha un’impostazione più “leggera”, e per esempio in fatto di istruzione si limita a chiedere più competenze su organizzazione della rete scolastica, formazione tecnica e professionale e collegamenti università-imprese. Ma anche Bologna solleva qualche problema, soprattutto dalle parti del Mef. Quando chiede, come le altre regioni, di istituzionalizzare la quota attuale del Fondo unico dello spettacolo o del Fondo nazionale trasporti. Ma fissare a priori le fette regionali dei fondi nazionali sclerotizza parti del bilancio pubblico e toglie spazi di manovra alle correzioni dei conti. Che spesso servono come il pane, come mostrano le vicende di questi giorni.


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