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Autonomia differenziata ancora in stallo, oggi nuovo vertice a rischio rottura
Le ultime ipotesi di mediazione hanno introdotto la classica clausola che vieta alla riforma di produrre "nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica"

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Nelle intenzioni della Lega l’ennesimo vertice di questa sera a Palazzo Chigi sull’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna avrebbe dovuto rappresentare la chiusura di una telenovela ormai indigesta. Per i Cinque Stelle invece non si sarebbe nemmeno dovuto tenere, al punto che nelle scorse ore un pressing più o meno sotterraneo avrebbe spinto per rinviare l’appuntamento. Bastano queste premesse, insieme all’orario di convocazione alle 19, per intuire che il nuovo round ministeriale convocato dal premier offre le premesse per un nuovo scontro Lega-M5s. Dai dossier incrociati di Atlantia e Alitalia fino alla nuova minaccia di chiusura dell’Ilva dopo il «no» allo scudo penale per Arcelor, la scena del resto è affollata di temi complicati per la maggioranza. Che rischiano di rendere impossibile il cammino di una riforma che avrebbe bisogno di tempi lunghi anche in caso di accordo blindato nel governo. La stessa composizione del tavolo per ora resta incerta. Il premier Conte ha chiamato tutti i ministri competenti; accanto ai due vicepremier Di Maio e Salvini ci sarà ovviamente la titolare degli Affari regionali Erika Stefani, mentre per ora non è confermata la presenza del ministro dell’Economia Tria. Ieri una serie di riunioni agli Affari regionali con i vertici di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna non hanno potuto far altro che mettere in fila tutti gli ostacoli sul cammino dell’autonomia differenziata. Anche perché le ultime ipotesi di riformulazione delle pre-intese arrivate dai ministeri più critici si sono tradotte in una nuova serie di «no» alle richieste regionali. La Lombardia, in tutta risposta, ha fissato sei punti giudicati «irrinunciabili»: istruzione, concessioni infrastrutturali, trasporti, ambiente, beni culturali e sanità. E si tratta esattamente dei temi più indigesti ai ministeri a guida Cinque Stelle. Il Veneto è sulla stessa linea, e anche dalla “moderata” Emilia Romagna, che chiede una lista di competenze più snella e non punta per esempio a regionalizzare l’istruzione, si fa sapere che di passi in avanti non ce ne sono. «Noi abbiamo fatto le nostre proposte ma loro non le vogliono», sintetizza dai Cinque Stelle Stefano Buffagni, che agli Affari regionali è il sottosegretario.

Ma lo stallo è un problema tutto leghista, ed è misurato dal crescere nei toni delle dichiarazioni dei presidenti nordisti del Carroccio. «Ho la sensazione che ci stiano prendendo in giro», mette a verbale il solitamente moderato governatore lombardo Attilio Fontana, mentre il collega veneto Luca Zaia spiega che «sarebbe veramente tragico se nemmeno il premier riuscisse nell’impresa» di far andare avanti l’autonomia. Ma «le bozze favoriscono tre Regioni e danneggiano tutte le altre – fa sapere la ministra M5s del Sud Barbara Lezzi -. La Lega chiede la luna e mi domando se vuole davvero l’autonomia o cerca solo un pretesto per farsi dire di no». Per evitare una rottura esplicita, insomma, ci vorrà tutta la vocazione mediatrice di Conte, insieme alla convinzione di Salvini che non è l’autonomia differenziata l’argomento su cui far saltare il banco. Ma in alto mare restano tutti gli snodi chiave della riforma, a partire dalla strada da percorrere per provare ad attuarla. L’ipotesi leghista chiede di affidare al premier il compito di chiudere una pre-intesa vera e propria, da portare in Parlamento per i pareri delle commissioni prima della firma definitiva. Ma i Cinque Stelle puntano all’emendabilità dei testi in Parlamento, con un percorso accidentato che porterebbe quasi matematicamente alla mancata firma delle intese finali. Anche sui soldi lo scontro è aperto.

Le ultime ipotesi di mediazione hanno introdotto la classica clausola che vieta alla riforma di produrre «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», cancellando l’ipotesi di garantire in prospettiva alle tre Regioni almeno un finanziamento pari alla spesa media pro capite nazionale per le funzioni trasferite. Sui ruoli regionali per gli insegnanti chiesti da Lombardia e Veneto il «no» resta totale, così come sulla devoluzione delle competenze sui beni culturali, dopo che la riforma appena avviata dal ministro M5s Bonisoli. Ma più dei singoli punti, a dividere i due litigiosi partner della maggioranza è la scelta di fondo su una riforma che per i leader Cinque Stelle potrebbe tranquillamente essere archiviata nonostante l’appoggio dato a suo tempo dai loro esponenti al Nord.


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