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Limiti sulle alternative al carcere: "Spazzacorrotti" al test della Consulta
I giudici di merito contestano la preclusione per alcuni reati contro la PA: all'esame della Corte la ragionevolezza dei blocchi e l'applicazione al passato

di GIOVANBATTISTA TONA (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Con un doppio sospetto di illegittimità costituzionale la Corte d’appello di Palermo spedisce alla Consulta la legge 3 del 2019, la “Spazzacorrotti”, mettendo sotto esame le disposizioni che precludono ai condannati in via definitiva per alcuni reati contro la pubblica amministrazione l’accesso a misure alternative alla detenzione. L’ordinanza (presidente e relatore Piras) è del 29 maggio scorso ma segue già diverse altre decisioni di giudici di merito sulla stessa questione.
L’articolo 1, comma 6, della legge 3 del 2019 ha inserito alcuni dei reati contro la pubblica amministrazione nell’elenco di quelli per i quali l’articolo 4-bis della legge 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario esclude la concessione di permessi premio e misure alternative.

Questo ha comportato, dal 31 gennaio scorso, data di entrata in vigore della legge Spazzacorrotti, che gli ordini di esecuzione delle pene non superiori a quattro anni inflitte per quei reati non sono stati più sospesi per consentire al condannato di formulare richiesta al tribunale di sorveglianza delle oramai precluse misure alternative.
Diversi condannati per reati contro la pubblica amministrazione si sono allora rivolti al giudice dell’esecuzione perché dichiarasse temporaneamente inefficace l’ordine di esecuzione e desse loro modo di richiedere una misura alternativa alla detenzione.

Tale richiesta viene fondata su due ragioni.
La prima attiene all’irragionevolezza della nuova deroga al principio generale della sospensione delle pene brevi.
La seconda fa emergere la mancanza di una disciplina transitoria per chi ha commesso il fatto quando la legge ammetteva modalità di esecuzione potenzialmente più favorevoli che in maniera non prevedibile l’introduzione delle nuove norme ha precluso.

Un primo provvedimento del Gip di Como dell’8 marzo ha considerato insindacabile la scelta discrezionale del legislatore di ampliare l’elenco dei reati ostativi.
Tuttavia, il Gip ha ritenuto la nuova norma a contenuto intrinsecamente afflittivo e sanzionatorio; come tale, in assenza di una disciplina transitoria, non si può applicare ai reati commessi prima della sua entrata in vigore. Il Gip ha quindi sospeso l’ordine di esecuzione, ritenendo che il condannato fosse legittimato a richiedere misure alternative.

A questa stessa soluzione è giunta la Corte d’appello di Reggio Calabria con un provvedimento del 2 aprile.
Il Gip di Napoli, con ordinanza del 2 aprile, e la Corte d’appello di Lecce, due giorni dopo, hanno invece ritenuto che la modifica attiene a una norma processuale alla quale non si potrebbe applicare la regola dell’irretroattività della legge più sfavorevole. Quindi, senza sospendere l’esecuzione dell’ordine di carcerazione, hanno sollevato questione di legittimità costituzionale della modifica dell’articolo 4-bis della legge spazzacorrotti nella parte in cui ha mancato di prevedere un regime intertemporale in contrasto con gli articoli 3, 24, 25, 27, 111 e 117 della Costituzione come integrata dall’articolo 7 della Convenzione europea.
In queste ordinanze vengono ripresi argomenti svolti dalla sentenza della Cassazione 12541 del 14 marzo scorso, che ha ritenuto la questione non manifestamente infondata ma non rilevante, perché il giudice di legittimità non può mai assumere il ruolo di giudice dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati nel terzo grado.

Con un’ampia e argomentata decisione, la Corte d’appello di Palermo va oltre e solo in via subordinata solleva questione di legittimità costituzionale riguardo la mancanza di disciplina intertemporale.
In via principale, invece, sostiene che l’introduzione in sè di tali reati tra quelli ostativi contrasti con il principio di ragionevolezza e con quello di uguaglianza, perché estende a essi una presunzione assoluta di pericolosità, non fondata su dati di esperienza generalizzati, che prevale irragionevolmente sulla finalità rieducativa della pena e sulla regola del “minimo sacrificio necessario”.
È facile prevedere che la decisione della Consulta su tale questione avrà conseguenze sull’interpretazione di tutta la legge 3/2019, tacitando o facendo emergere anche altri dubbi di legittimità costituzionale.


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