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Decreto Crescita, prove di rinvio sugli obblighi di accantonamento al fondo garanzia debiti commerciali
Focus su alcuni emendamenti presentati nell'iter di conversione del Decreto Crescita, ora in discussione alla Camera

di MARCO ALLEGRETTI e MARCO TERZI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Fra i vari emendamenti presentati nell’iter di conversione del Decreto Crescita, ora in discussione alla Camera, uno in particolare a lo scopo di porre rimedio all’ansia sorta in molti enti in vista dell’entrata in vigore, a partire dal 2020, degli obblighi di accantonamento al cosiddetto «Fondo di garanzia debiti commerciali». L’emendamento, oltre a rinviare di un anno l’entrata in vigore della norma, punta a istituire un tavolo tecnico presso la Ragioneria generale dello Stato con lo scopo di individuare interventi finalizzati all’adeguamento dei tempi di pagamento dei debiti commerciali e, in particolare, di minimizzare le attività manuali di alimentazione del sistema con specifico riguardo agli enti di minore dimensione. La situazione attuale A seguito della scadenza dello scorso 30 aprile, entro la quale doveva essere certificato l’ammontare complessivo dello stock di debiti commerciali residui scaduti e non pagati al 31 dicembre scorso, gli enti si sono resi conto delle molte differenze esistenti fra le risultanze in piattaforma crediti e la propria situazione reale. L’avvento del Siope+, infatti, non ha completamente azzerato (come era speranza di molti) le attività manuali da parte degli enti, ma ha soltanto ridotto gli interventi di gestione della piattaforma che va comunque manutenuta, specie per quanto riguarda le situazioni non ordinarie (errori nelle date di scadenza in fattura, pagamenti sospesi per contestazioni e altro).

A questo problema è contrapposto l’obbligo di accantonamento al «Fondo di garanzia debiti commerciali» (imposti dal comma 859 della legge di bilancio 2019) già a partire dal prossimo bilancio. In particolare, il Fondo andrà iscritto alla missione 20 del Titolo I di spesa da parte di quegli enti che non abbiano ridotto di almeno il 10% il proprio stock di debito rispetto a quello del secondo esercizio precedente, ovvero – pur avendo realizzato la riduzione – non abbiano rispettato il termine medio di trenta giorni per i pagamenti. L’ammontare da accantonare sarà tanto maggiore quanto più alto è lo scostamento registrato; lo stanziamento non sarà impegnabile e a fine esercizio esso confluirà nella quota libera del risultato di amministrazione. Il problema nasce dal fatto che i tempi medi di pagamento non verranno quantificati sulla base dei dati in possesso dell’ente bensì sulla base di quelli presenti in Piattaforma Crediti: si rende necessario di un loro puntuale e urgente riallineamento. L’ipotesi di un tavolo tecnico per la semplificazione L’emendamento presentato propone, oltre al rinvio di un anno dell’entrata in vigore dell’obbligo di accantonamento (al 2021), l’istituzione di un tavolo tecnico presso la Ragioneria dello Stato – i cui lavori dovranno concludersi entro il prossimo settembre – con lo scopo di individuare interventi finalizzati all’adeguamento dei tempi di pagamento dei debiti commerciali anche attraverso l’integrazione della piattaforma con il sistema Siope+ e di minimizzare le attività manuali di alimentazione dei sistemi, il tutto con particolare riguardo agli adempimenti richiesti agli enti di minore dimensione. Innegabilmente una difficoltà esiste, non resta che attendere di vedere se il testo definitivo imbarcherà o meno l’emendamento: in caso negativo il problema si porrà con forza nella restante parte dell’anno, sia per il riallineamento delle posizioni, sia per la programmazione 2020-2022, già ai blocchi di partenza in vista del Dup da presentare entro luglio.


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