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Taglio al cuneo, infrastrutture e capitale umano: le proposte di Confindustria per ripartire
Rischio di "Manovra recessiva da almeno 32 miliardi" in autunno: dagli industriali le 16 mosse per un nuovo patto con l'Europa

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Per inerpicarsi verso il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica concordati con Bruxelles, in autunno bisognerebbe costruire «una manovra strutturale da almeno 32 miliardi», «imponente e con effetti recessivi». Ma d’altra parte «aumentare il deficit per la spesa corrente – non per gli investimenti – e quindi aggravare il debito pubblico è l’esatto opposto di quello che serve al Paese».
Parte da questa doppia premessa la proposta che il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia avanza alla politica in vista di una fra le leggi di bilancio più complicate degli ultimi anni. Una correzione vicina ai due punti di Pil a colpi soprattutto di aumenti fiscali rischia di azzerare sul nascere le chance di ripresa. Ma una procedura per debito, avverte il presidente degli industriali, «era e continua a essere contraria agli interessi nazionali».

Secondo molti analisti, a partire dallo stesso Centro Studi Confindustria, la strada stretta fra una cura recessiva e lo stop Ue passa da un accordo con Bruxelles basato su uno scambio: un’altra dose di flessibilità, e da Roma un programma credibile di rilancio che chiuda definitivamente la stagione delle «minacce Iva». Parte da qui il menu in 16 punti proposto dagli industriali. Che dopo la spesa corrente di quota 100 e reddito di cittadinanza su cui si è concentrata l’ultima manovra chiede di girare lo sguardo verso gli investimenti.

Per «grandi infrastrutture e piccole opere» Boccia chiede un «piano shock», con l’obiettivo di «mettere in sicurezza suolo, ponti, scuole e strade». E sul punto un meccanismo abbozzato già esiste, con i finanziamenti assegnati agli enti locali per la messa in sicurezza degli edifici pubblici (400 milioni in manovra, più altri 200 all’anno secondo gli emendamenti al decreto crescita) e il risparmio energetico (500 milioni nel Dl crescita). Il meccanismo ha in effetti le «modalità di erogazione snelle e tempi rapidi» di realizzazione che per Boccia sono i presupposti indispensabili per l’efficacia; ma è ovvio che per trasformarsi in un piano capace di cambiare il ritmo degli investimenti pubblici deve moltiplicare platea, ambizioni e fondi.

Se gli investimenti sono il filo rosso della proposta degli industriali, la loro declinazione deve viaggiare a cavallo fra settore pubblico e privato, e puntare sulle persone oltre che sui cantieri. Per questo Confindustria rilancia la richiesta di «riduzione del costo del lavoro, focalizzando le risorse sull’occupazione a tempo indeterminato», e un raddoppio in tre anni del numero di Istituti tecnici superiori per sviluppare i profili che mancano alle imprese. Ma chiede anche di «aprire la pubblica amministrazione» con «un piano straordinario di 10mila assunzioni di giovani qualificati», per avere «più ingegneri, economisti, architetti, geologi». Anche qui un primo tentativo di rimediare alla desertificazione delle competenze tecniche nella PA è stato avviato, per esempio con la complicata gestazione della «centrale di progettazione»; ma anche qui la scala dimensionale deve cambiare per dare a questa scelta effetti misurabili. Come accade per il pagamento dei debiti verso le imprese. Il decreto crescita prova a riaprire fino al 31 luglio la possibilità per i sindaci di chiedere nuove anticipazioni a Cdp; i tempi di pagamento migliorano, ma l’arretrato rimane «inaccettabile» per le imprese.
Per trovare risorse, serve una spending review «premiale» verso i funzionari che la alimentano, una valorizzazione degli asset locali e una «compartecipazione alla spesa pubblica delle classi più abbienti», a partire da sanità, università e trasporto locale. In un “patto” fra i diversi settori che ha bisogno di un cambio di clima per essere costruito.


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