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Partecipate, arrivano i tetti ai compensi: colpiti sindaci e amministratori
Pronti i decreti con tre anni di ritardo

di STEFANO POZZOLI e GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Si risvegliano dal lungo sonno in cui erano caduti i decreti attuativi della riforma Madia che fissano i tetti ai compensi di amministratori e dirigenti delle partecipate e i requisiti di onorabilità, professionalità e autonomia per entrare nei CDA e nei collegi sindacali delle società pubbliche.

Avrebbero dovuto vedere la luce in 30 giorni, hanno impiegato tre anni. Ma ora sono pronti i decreti attuativi della riforma Madia che fissano i tetti ai compensi di amministratori e dirigenti delle società partecipate. Le aziende sono divise in cinque fasce in base a valore della produzione, totale dell’attivo e numero di dipendenti. E il tetto va dai 240mila euro delle più grandi ai 120mila delle più piccole: il 30% di queste somme, però, è un bonus, che può essere assegnato solo quando il margine operativo lordo è positivo. Ma i nuovi tetti colpiranno soprattutto gli altri membri dei CDA e i professionisti dei collegi sindacali. Nel primo caso i limiti oscillano fra i 15mila e i 35mila euro annui per i presidenti, e fra i 10mila e i 23mila per gli altri consiglieri. Per i controllori si va da 8mila a 30mila euro. I due decreti sono stati definiti al ministero dell’Economia, e sono pronti a quello che dovrebbe essere l’ultimo confronto con gli amministratori locali e le società prima dell’arrivo in Gazzetta Ufficiale: dopo tre anni di cottura invece dei 30 giorni previsti con un pizzico di ambizione dalla riforma 2016.

All’atto pratico, le tabelle che attireranno l’attenzione delle decine di migliaia di persone che siedono nei consigli di amministrazione delle partecipate sono quelle che accompagnano gli articoli 2 e 3 del decreto sui compensi. E che dividono il mondo delle partecipate (escluse le quotate) in cinque fasce, caratterizzata ognuna da un diverso tetto ai compensi. Il valore di riferimento sono sempre i 240mila euro lordi annui che rappresentano la busta paga massima per tutta la Pa. Nelle società più piccole il tetto si dimezza a 120mila. Cifre valide, però, solo per l’amministratore unico o delegato e per i dirigenti. Per gli altri membri del CDA e per i collegi sindacali i numeri sono assai più leggeri, e peggiorano le prassi attuali: il presidente del collegio sindacale guadagnerà al massimo dai 10mila ai 30mila euro, mentre nei CDA si oscillerà fra 15mila e 35mila per i presidenti e fra 10mila e 23mila per gli altri componenti.

Per essere in prima fascia, le aziende devono superare almeno due dei tre parametri legati a valore della produzione, attivo patrimoniale e numero dei dipendenti registrati nella media degli ultimi tre anni: per essere al top la produzione deve arrivare almeno a 200 milioni, l’attivo al miliardo e i dipendenti devono essere almeno mille. Scendendo nella scala dimensionale, si perde il 10% del compenso a ogni scalino, fino alle società più piccole (meno di 30 milioni di produzione, meno di 50 milioni nell’attivo e meno di 100 dipendenti) dove il tetto si attesta a 120mila euro, il 50% del massimo. Per amministratori delegati e dirigenti, poi, almeno il 30% della busta paga deve essere ancorato alla parte variabile. E il bonus può essere assegnato solo nelle società che hanno un margine operativo lordo positivo. Quando i conti zoppicano, insomma, i tetti scendono del 30%. Il regolamento sui requisiti, invece, chiude le porte di CDA e collegi in caso di condanna anche non definitiva per una serie di reati contro la Pa; ma quando la violazione riguarda norme su attività bancaria, assicurativa e mobiliare basta anche il rinvio a giudizio.


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