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Nei Comuni debito in discesa (-17%) ma la crisi schiaccia 2mila mini-enti
Le due verità oltre il salva-Roma

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La battaglia scoppiata sul salva-Roma ha concentrato l’attenzione sul debito dei Comuni. Debito che, però, nel suo complesso è diminuito del 17% fra 2011 e 2018, e vale oggi l’1,7% del passivo totale della Pa. Un problema complessivo di debito locale, insomma, non c’è. C’è, tuttavia, un problema specifico, legato ai piccoli Comuni, quelli sotto i 5mila abitanti. In 1.883 mini-amministrazioni, cioè nel 37,8% degli enti fino a 5mila abitanti nell’Italia a Statuto ordinario più la Sicilia e la Sardegna, il servizio annuale al debito (quota capitale e interessi) assorbe più del 12% della spesa corrente: in 659 di queste amministrazioni, il peso supera il 18%. Con cifre come queste, per lo sviluppo dei servizi resta poco o niente. La legge di Bilancio ha avviato la rinegoziazione dei mutui pre-2003, ma il decreto attuativo non è mai arrivato. E nemmeno il tavolo tecnico «per la ristrutturazione del debito locale», previsto a tempo di record dal decreto semplificazioni a inizio febbraio, è partito.
Una settimana di battaglia sul cosiddetto «salva-Roma» ha infiammato il dibattito politico e sui giornali su un problema che non c’è. E ha fatto dimenticare il problema che c’è. Quello che non c’è è una presunta crisi del debito comunale, la cui esplosione metterebbe in pericolo i conti pubblici. Bene: si dà il caso che nell’Italia stra-indebitata il passivo dei Comuni sia sceso negli ultimi anni del 17,1% tondo, passando dai 48,6 miliardi del 2011 ai 40,3 miliardi del 2018 (fonte Tesoro). Oggi, insomma, nei bilanci comunali c’è l’1,75% del debito pubblico italiano: era il 2,6% nel 2011. Il problema che c’è, praticamente ignorato negli ultimi giorni nonostante la fulminea passione generalizzata per la finanza locale, è invece il peso del debito sui bilanci di molti piccoli Comuni. La questione vale poco in valore assoluto, ed evidentemente anche in termini politici. Ma strozza i conti di quasi duemila enti locali sotto i 5mila abitanti: un Comune ogni quattro, insomma, è schiacciato dal proprio debito.

Un po’ di conti
A dirlo è un indicatore semplice, calcolato dall’Ifel: il costo annuale del debito, alimentato dal rimborso di quote capitale e interessi, in rapporto alla spesa corrente. In 1.883 piccoli Comuni, cioè nel 37,8% degli enti fino a 5mila abitanti nell’Italia a Statuto ordinario più la Sicilia e la Sardegna, il servizio annuale al debito assorbe più del 12% della spesa corrente complessiva: in 659 di queste micro-amministrazioni, il peso supera il 18%. Cioè: ogni 100 euro di spesa totale, dal personale agli acquisti, più di 18 finiscono in rate sul debito. In media, sotto i mille abitanti il debito costa 116 euro all’anno a residente, fra mille e 5mila abitanti vale 83 euro pro capite mentre basta superare questa soglia demografica per vedere il pro-capite scendere intorno a quota 60. Ovvio, in un quadro come questo, che per sviluppare davvero qualche servizio resti pochissimo. Per avere un’idea più chiara della questione basta pensare al fatto che nel conto economico consolidato della Pa, che comprende le amministrazioni centrali, regionali e locali, il super-debito italiano assorbe il 7,9% della spesa corrente complessiva, cioè 63,98 miliardi su 812,6 (dati 2019 nel Def appena approvato). Se un bilancio pubblico così indebitato dedica agli interessi meno dell’8% della spesa, è evidente che un ente che gira alla stessa voce il 12 o il 18% delle uscite correnti ha un problema serio. E spesso, nei piccoli bilanci dei mini-enti, a generarlo basta un mutuo, o un gruppo di mutui accesi in un passato lontano quando gli interessi erano più alti.

Norme e politica
Non è del tutto esatto dire che la politica si è dimenticata di questo tema. Si è dimenticata, per ora, di risolverlo. Il dossier è già finito sul tavolo del governo, e ha prodotto due norme. La prima è scritta al comma 961 dell’ultima legge di bilancio, e prevede la possibilità di rinegoziazione dei mutui accesi con Cassa depositi e prestiti prima del 2003 e poi passati al ministero dell’Economia. È una mossa parziale, perché riguarda 2,2 miliardi complessivi in tutti gli enti locali, ma può dare una mano: ma il decreto attuativo dell’Economia, atteso entro il 28 febbraio, non è arrivato. Un’altra norma punta a un obiettivo più generale. Si tratta dell’articolo 11-bis, comma 3 del decreto semplificazioni, convertito a febbraio, in cui si prevede la creazione di un tavolo tecnico-politico fra ministero dell’Economia, Viminale e amministratori locali con il compito di «formulare proposte per la ristrutturazione del debito locale». A segnalare l’urgenza del tema ci sono i tempi record previsti per l’istituzione del tavolo, che avrebbe dovuto vedere la luce «entro dieci giorni». Ma due mesi e mezzo dopo, non è successo nulla.
Ora la questione tornerà al centro con il passaggio parlamentare del decreto crescita. Alla vigilia delle amministrative in quasi 3.900 Comuni su 8mila, Lega e M5s hanno ingaggiato una battaglia su chi si dimostra più attento alle esigenze comunali. Ma finora la competizione interna alla maggioranza sul «salva-Roma» e non solo ha impedito passi in avanti reali.


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