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Caos sulla legge "Spazzacorrotti": non tiene la stretta sul carcere
Profili di incostituzionalità nelle più recenti applicazioni della legge "Spazzacorrotti". Particolarmente grave la questione della retroattività

di ULDERICO IZZO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Sulla legge “Spazzacorrotti”, la n. 3 del 2019, in particolare sulla sua stretta per i condannati per reati contro la pubblica amministrazione è caos. Perché le prime pronunce della magistratura puntano a sterilizzarne gli effetti nell’immediato, soprattutto per l’assenza di una disciplina della fase transitoria. E il ministero della Giustizia, mentre si profila un intervento della Cassazione, già corre ai ripari, pensando a correzioni da applicare subito.

Nelle aule dei tribunali si sta iniziando a fare i conti con la norma che vede solo il carcere come destinazione per tutti i condannati per reati come corruzione, concussione, peculato. L’esclusione di misure alternative alla detenzione colpisce tutti, dall’ex governatore della Lombardia Roberto Formigoni, condannato per corruzione, per il quale sono stati esclusi gli arresti domiciliari che avrebbe potuto chiedere prima del 31 gennaio 2019 (data di entrata in vigore della “spazzacorrotti”) per effetto dei suoi 72 anni, al “semplice” avvocato sanzionato con 4 anni di carcere per peculato.
Nei confronti di quest’ultimo il Gip di Como, con decisione dell’8 marzo, in sede di incidente di esecuzione, ha ordinato l’immediata scarcerazione, dopo poche ore, accogliendo la tesi difensiva del professor Vittorio Manes e dell’avvocato Paolo Camporini: la norma della legge 3/2019 che esclude la sospensione della detenzione per dare tempo al condannato di chiedere (da libero) l’affidamento in prova ai servizi sociali ha carattere sostanziale e quindi ne va esclusa la retroattività.
Non usa mezzi termini il Gip comasco, ritenendo si smentire, bollandola come «una truffa delle etichette» la tradizionale collocazione delle misure sull’esecuzione della pena tra quelle processuali. Si tratta invece di «norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena; una modifica legislativa peggiorativa di tali norme, conseguentemente, può determinare gravi pregiudizi per il condannato e aggredire in modo significativo il bene della libertà personale». Tuttavia, nelle ore successive, la Procura e tornata a chiedere il carcere, contestando l’interpretazione del Gip, preannunciando la decisione di proporre ricorso contro la scarcerazione e a doversi pronunciare sul punto sarà la Corte di cassazione.

Linea della Procura che era uscita sconfitta pochi giorni prima anche a Napoli, dove, con decisione del 1° marzo, il tribunale aveva negato l’applicazione retroattiva dell’obbligo di detenzione nei confronti di una donna che, condannata definitivamente per istigazione alla corruzione, si era vista prima ammessa alla sospensione della pena con contestuale richiesta di misure alternative e poi di fronte all’ordine di esecuzione che avrebbe spalancato il carcere, per effetto dell’entrata in vigore, nel frattempo della “spazzacorrotti”. La settima sezione penale del tribunale partenopeo ha invece annullato l’ordine, ritenendo che le successive modifiche alla normativa, intervenute dopo il provvedimento di sospensione, non possono avere effetto. Sarà allora il tribunale di sorveglianza a dovere verificare se la donna potrà essere ammessa alla misura alternativa.

E della problematicità del tema si è reso conto anche il Governo, visto che alla Camera, in commissione Giustizia, il sottosegretario Vittorio Ferraresi, di fronte a una risoluzione di Enrico Costa (Forza Italia), si è detto disponibile all’adozione di una norma che disciplini la fase transitoria, aprendo all’esclusione dall’applicazione della riforma di tutte le condanne diventate definitive prima del 31 gennaio. Scelta che, però, già obiettano i critici, non cancellerebbe i profili di incostituzionalità, determinati dall’applicazione di una norma dagli effetti sostanziali anche a fatti commessi prima dell’entrata in vigore.


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