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Patti per il Sud, speso meno del 2% del Fondo per lo sviluppo e la coesione
Dati preoccupanti sull’impiego dei fondi per le infrastrutture nel Mezzogiorno. Individuate alcune cause

di CARMINE FOTINA (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Fa spesso meno notizia dei fondi strutturali europei, ma paradossalmente fa registrare performance di spesa ancora più preoccupanti: anche l’ultima fotografia del Fondo per lo sviluppo e la coesione, e in particolare della quota riservata ai Patti per il Sud, mostra la cronica difficoltà della Pubblica amministrazione nella progettazione e gestione delle gare. L’FSC è il fondo nazionale che, insieme ai fondi europei, deve garantire risorse finanziarie aggiuntive per obiettivi di riequilibrio economico e sociale, con un vincolo di utilizzo dell’80% a favore del Mezzogiorno. Il monitoraggio effettuato dalla Ragioneria dello Stato, aggiornato al 31 ottobre 2018, segnala pagamenti per appena l’1,5% delle risorse programmate (appena 492 milioni su 32,1 miliardi). Ci si ferma all’1,9% per la sottosezione rappresentata dai Patti per lo Sviluppo (276,6 milioni su 14,3 miliardi programmati).
Nel complesso, tra risorse ripartite dal CIPE per diverse aree tematiche e risorse ancora da assegnare/programmare, il monitoraggio della Ragioneria indica per l’FSC del periodo 2014-2020 una dotazione totale di 59,8 miliardi. Quanto ai patti per lo sviluppo, furono sottoscritti nel 2016 (governo Renzi), sommando più fondi e risorse. In particolare, la dotazione FSC fu ripartita in 13,4 miliardi per le 15 intese al Sud (le otto regioni più le sette città metropolitane) e circa 900 milioni per le regioni del Nord.

La percentuale di spesa sul programmato segnala oggi una situazione innegabile di allarme anche se altri indicatori, riferiti ai lavori in affidamento (14%) o in corso di esecuzione (22%), sono meno sconfortanti. I progetti finanziati con i Patti riguardano per il 40% il settore trasporti e infrastrutture, per il 27% l’ambiente e per percentuali molto più basse aree come inclusione sociale, ricerca, istruzione. Il portale Open Coesione contiene la lista dei progetti conclusi, alcuni esempi: l’intervento per la circonvallazione di Palermo, il risanamento idrogeologico in provincia di Teramo, l’azione di rimboschimento e interventi di prevenzione incendi in diversi Comuni, la manutenzione straordinaria di alcune scuole in Sardegna, ma anche l’organizzazione dei campionati mondiali militari di scherma in Sicilia.
C’è un altro dato sorprendente che spiega la paralisi di spesa di quello che una volta si chiamava FAS (Fondo aree sottoutilizzate): la bellezza di 21 miliardi di residui nel bilancio dello Stato. La stima è contenuta in un articolo di Gian Paolo Boscariol che sarà pubblicato nel prossimo numero della “Rivista giuridica del Mezzogiorno” della Svimez. I diversi governi succedutisi – è la tesi – hanno alimentato periodicamente l’FSC 2014-2020 con nuove risorse in termini di competenza, ma nel frattempo tenevano le autorizzazioni di cassa a un livello assai inferiore.

Così il Fondo ha viaggiato con il «freno a mano tirato», il tutto amplificato dalle note difficoltà delle amministrazioni chiamate a spendere. Il meccanismo si è di fatto ripetuto con l’ultima legge di bilancio. Da un lato, l’FSC è stato rifinanziato per 4 miliardi fino al 2023, dall’altro le autorizzazioni di cassa per il 2019 sono state ridotte quasi del 50% – per 1,3 miliardi – a fronte di 6,3 miliardi di stanziamenti in termini di competenza. Un’operazione effettuata dal governo nell’ambito delle correzioni per evitare la procedura di infrazione UE sui conti pubblici.
Diversa, ma non di minore importanza, la questione dell’utilizzo «improprio». Il decreto legislativo 88 del 2011, che ha disciplinato il funzionamento del Fondo, ne vincola l’utilizzo al finanziamento di progetti strategici, sia di carattere infrastrutturale sia di carattere immateriale, di rilievo nazionale, interregionale e regionale. Nella lunga lista delle assegnazioni, avvenute attraverso il CIPE o per via legislativa, non mancano per la verità progetti che sembra difficile configurare come strategici, come dimostrano gli esempi riportati in alto.


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