MAGGIOLI EDITORE - La Gazzetta degli Enti Locali


Scioglimento di Enti locali, necessaria la riforma della disciplina
Si riaccende il dibattito sulla annosa questione

di PAOLO CANAPARO (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

Le due sentenze del TAR Lazio che rimettono in sella i sindaci di Lamezia Terme e Marina di Gioiosa allontanati nel 2017 dopo 15 mesi di commissariamento ha riacceso il dibattito sullo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazioni mafiose. Con la conferma dell’utilità dello strumento, si sono rafforzate le richieste di riformarlo per renderlo più efficace agli scopi prefissati. Al pari di altri strumenti di contrasto alla diffusione della criminalità organizzata in settori centrali, oltreché delicati, della vita delle amministrazioni locali, lo scioglimento dell’ente in base all’ articolo 143 del Tuel è infatti un intervento che garantisce la massima anticipazione della soglia di tutela, risultando svincolato sia da accertamenti in sede penale, sia dalla ricorrenza di misure di prevenzione o di sicurezza, e ciò anche al fine precipuo di disporre
di uno strumento da attivare con immediatezza per salvaguardare l’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata (tra le tante: Consiglio di Stato, IV Sezione,sentenza 4 febbraio 2003 n. 562; sezione VI, sentenza 6 aprile 2005 n. 1573 ; sezione V, 18 marzo 2004 n. 1425).

Storia e geografia degli scioglimenti Il fenomeno degli scioglimenti per mafia ha assunto, nel meridione d’Italia, i contorni di normalità rispetto all’eccezionalità dei casi per cui era stato previsto nella legge ancora in vigore. L’anno di partenza è il 1991: a Taurianova, centro reggino con circa 17mila abitanti, scoppia una guerra di mafia che, in poco più di un anno, conta 33 vittime, 15 tentati omicidi, numerosi reati a scopo intimidatorio e forti condizionamenti all’amministrazione comunale. In tale contesto fu approvato il decreto legge n. 164 del 2001, poi convertito nella legge n. 221 de1 22 1uglio 1991.1 primi Comuni a essere sciolti furono proprio Taurianova e Casandrino nel Napoletano (2 agosto 1991). Dal 1991 al 31 gennaio 2019 i provvedimenti di scioglimento per infiltrazioni mafiose sono stati nel complesso 500, dei quali 180 di proroga di precedenti provvedimenti. 23 sono gli scioglimenti decisi nel 2018 e 1 nel primo mese del 2019: si tratta del Comune di Careri (Reggio Calabria). Tenuto conto che 61 amministrazioni sono state colpite da più di un decreto di scioglimento, gli enti locali complessivamente sciolti sono 243. Dal 2010 ad oggi sono 41 i procedimenti ispettivi avviati dal Ministero dell’Interno e conclusi con l’archiviazione, di cui 9 nel 2015, 3 nel 2016, 1 nel 2017 e 6 nel 2018.

In sedici casi, soprattutto negli ultimi anni, lo scioglimento ha coinvolto città con più di 50 mila abitanti come, ad esempio, Giugliano in Campania, Battipaglia, Marano di Napoli, Scafati: gli ultimi due casi sono Lamezia Terme, che ha circa 70 mila abitanti e Ostia, X Municipio di Roma capitale, che ne ha oltre 200 mila; e nel 2013 è stata sciolta per la prima volta una città capoluogo di provincia (Reggio Calabria). La Calabria è la regione con il più alto numero di Comuni sciolti: 108 (34,50%). Segue la Campania con 105 (33,55%) e la Sicilia con 75 (23,96%). In Calabria, la provincia più colpita è Reggio con 60 Comuni sciolti (di cui 4 annullati). A seguire Vibo (21, con uno annullato), Catanzaro (14, con 3 annullamenti), Crotone (9, con 2 annullamenti) e Cosenza (4, con uno soltanto annullato). Tra i Comuni calabresi più volte sciolti per mafia, sul gradino più alto del podio, con 3 scioglimenti a testa, si piazzano Gioia Tauro, Melito Porto Salvo, Platì, Roccaforte del Greco, San Ferdinando, Taurianova (tutti in provincia di Reggio), Briatico e Nicotera (Vibo). Altri 11 Comuni sono stati sciolti due volte: Lamezia Terme, Isola Capo Rizzuto, Bova Marina, Delianuova, Rizziconi, Rosarno, San Luca, Seminara, Siderno, Nardodipace e San Gregorio d’Ippona. Ancora limitati sono i casi di scioglimento nelle regioni del centro-nord, sebbene vi sia ormai la unanime consapevolezza del radicamento delle organizzazioni criminali anche al di fuori dei confini tradizionali di insediamento delle organizzazioni mafiose. Gli annullamenti della gìustizia amministrativa Dal 1991 ad oggi (e con esclusione di Lamezia Terme e Marina di Gioiosa Jonica che certamente dovranno affrontare anche il giudizio del Consiglio di Stato), sono stati in tutto 22 i Comuni che hanno visto accolto il loro ricorso contro il decreto di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa (appena il 7,6% del totale). Otto di questi sono calabresi. Solo in otto casi c’è stata una identica valutazione tra Tar e Consiglio di Stato nel ritenere insussistenti i motivi del decreto dissolutorio. In altri sette casi il Consiglio di Stato ha invece ribaltato una sentenza sfavorevole del Tar per gli amministratori disciolti e in sei casi il CdS ha giudicato inammissibile e/o improcedibile il ricorso avverso l’annullamento dello scioglimento ordinato dal Tar. In un caso, ma siamo agli esordi della legge, il reintegro degli amministratori è stato deciso dal giudice ordinario.

Nove volte invece il Consiglio di Stato ha confermato lo scioglimento ribaltando sentenze del Tar favorevoli agli amministratori ricorrenti e in tre di questi casi sono coinvolti comuni calabresi, Sinopoli, Bagaladi e Tropea. In ordine di tempo gli ultimi Comuni ad aver ottenuto l’annullamento del decreto di scioglimento sono stati Bordighera (2013), Cirri (2015), Ventimiglia (2016) e Joppolo (2016). L’attualizzazione dell’istituto I dati rappresentati evidenziano la diffusività dell’applicazione di un istituto che ha superato anche il vaglio di legittimità della Corte costituzionale, che si è pronunciata con le fondamentali sentenze 19 marzo 1993, n. 103, e 23 giugno 2014, n. 182. Al fine di ridurne l’impatto, la Commissione antimafia della corsa legislatura, in occasione della relazione finale, ha suggerito di rafforzare l’attività di verifica preventiva, attraverso l’introduzione di nuove forme di vigilanza e controllo, eventualmente attivabili anche a richiesta, sugli atti degli enti locali. Oltre a migliorare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, ciò permetterebbe di prevenire, sia pure in parte, il condizionamento della criminalità sugli amministratori locali onesti, spesso visti come terreno di facile conquista, nella misura in cui forme di controllo preventivo dell’attività da parte di soggetti esterni ne potrebbero limitare, almeno potenzialmente, la condizione di solitudine e quindi di debolezza a fronte di indebite richieste e pressioni. La stessa commissione ha auspicato un più intenso e incisivo ricorso alla misura (articolo 142 Tuel), che consente la rimozione del sindaco, del presidente della provincia, dei presidenti dei consorzi e delle comunità montane, dei componenti dei consigli e delle giunte, dei presidenti dei consigli circoscrizionali. Dal punto di vista normativo, la Commissione antimafia ha proposto di prevedere forme di comunicazione dell’avvio della procedura di accesso per offrire uno spazio in cui ascoltare, se e quando ritenuto opportuno, i soggetti coinvolti nella vicenda, in particolare gli esponenti della politica locale, che spesso lamentano l’assenza di una sede in cui poter rappresentare il proprio punto di vista, fermo restando che lo speciale procedimento amministrativo ex articolo 143 deve essere preservato da interferenze improprie. Con riferimento ai componenti delle commissioni di accesso, ha evidenziato l’esigenza di individuarli al di fuori dell’ambito territoriale del comune attenzionato e comunque in persone estranee al contesto di riferimento, geografico e amministrativo.


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