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Dall'IMU degli immobili statali un arretrato da 3-4,5 miliardi
Fisco locale: dopo l'ordinanza della Cassazione che nega l'esenzione del Demanio i sindaci pronti a far partire gli accertamenti in tutta Italia

di GIANNI TROVATI (dal Sole 24 Ore) – In collaborazione con Mimesi s.r.l.

La pubblicazione dell’ordinanza con cui la Cassazione ha presentato il conto IMU al Demanio ha scatenato le calcolatrici, alla caccia della cifra che lo Stato dovrebbe versare ai Comuni per rispettare la decisione dei giudici. I conteggi accesi dalla pronuncia 3275/2019 raccontata dal Sole 24 Ore di ieri, secondo cui il Demanio non rientra nelle esenzioni Imu, sono scivolosi, perché non esiste un database con le rendite catastali del panorama sterminato del mattone statale. Spesso, anzi, non esiste nemmeno la rendita.

Il conto del patrimonio spiega che lo Stato ha in pancia immobili per 62 miliardi di euro: assumendo questa cifra come valore catastale, l’arretrato arriverebbe a 3 miliardi di euro con l’aliquota standard del 7,6 per mille. Ma in molti Comuni l’aliquota è più alta. E gli immobili, in un portafoglio variegato che dai palazzi dei ministeri arriva alle spiagge e ai terreni demaniali passando per una varietà infinita di uffici e costruzioni strumentali delle varie amministrazioni, spesso non hanno appunto una rendita. Per cui il completamento del puzzle potrebbe far salire il conto almeno a quota 4,5 miliardi, a cui da oggi corrisponderebbe un conto da 900 milioni all’anno (la prescrizione è quinquennale). In ogni caso si tratta di stime per difetto, perché il «valore di libro» attribuito agli immobili è un numero spesso molto antico, che nessuno ha mai dovuto aggiornare proprio per l’assenza degli obblighi fiscali rianimati dalla Cassazione.
Fatto sta che i sindaci hanno tutta l’intenzione di far partire gli accertamenti e le richieste degli arretrati. «Non è una scelta», precisa Guido Castelli, il sindaco di Ascoli Piceno che all’Anci ha la delega per la finanza locale e presiede l’Ifel, l’istituto per la finanza e l’economia dell’Associazione dei Comuni. «Siamo obbligati ad attivarci dopo la decisione della Cassazione, perché non farlo ci esporrebbe alla responsabilità erariale e quindi alle obiezioni della Corte dei conti. Per fermarci avremmo bisogno di una norma, o di una Cassazione a sezioni unite che però arriverebbe solo fra molto tempo. Certo non basterebbe una nota del ministero dell’Economia, che è parte in causa perché controlla l’agenzia del Demanio».

E in effetti in più di un’occasione al ministero dell’Economia si è tentato in passato di rimediare con circolari e risoluzioni agli squarci aperti da norme che non brillano per chiarezza. Ma spesso questi tentativi sono naufragati in Cassazione. Anzi, a spulciare gli archivi si incappa in una vecchia circolare del ministero, la 14 del 1993, secondo cui il «patrimonio demaniale» è esente dall’Ici, perché «preordinato a compiti tipici dell’amministrazione pubblica». Ma la Cassazione nell’ordinanza di martedì ha detto l’esatto contrario, spiegando che la qualifica dell’immobile è «irrilevante». Lo stesso giorno, del resto, la Suprema Corte aveva smentito un altro passaggio di quella circolare, imponendo al ministero della Difesa il pagamento dell’Imu sugli alloggi di servizio dei militari (sentenza 3268).

Senza una contromossa più forte, allora, difficilmente si eviterà un’infinità di contenziosi fra i Comuni e lo Stato. A partire dal Lazio e prima di tutto da Roma, dove si concentra il 30% del valore del mattone pubblico: per il Campidoglio, insomma, la decisione che ha imposto al Demanio di pagare poco meno di 10mila euro al Comune di Concordia sul Secchia potrebbe valere un miliardo.


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