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Privatizzazione Poste italiane: ANCI al fianco dei Piccoli Comuni per il no
Servizi pubblici: il piano di razionalizzazione e la battaglia dei sindaci

“Si espongono i cittadini alla riduzione di un servizio anche sociale sui territori. Un servizio essenziale soprattutto per le comunità più piccole che già hanno subìto gli effetti di una riduzione di sportelli, presidio nei paesi, e il diradarsi dei tempi di consegna”: queste le rilevanti parole del presidente dell’ANCI Antonio Decaro in merito alla privatizzazione del secondo stralcio di Poste italiane. I sindaci italiani si schierano per il no a tale processo.

Privatizzazione Poste italiane: la battaglia dell’ANCI

Da tempo l’ANCI combatte la battaglia dei piccoli Comuni per preservare il servizio pubblico e universale che Poste italiane deve continuare a garantire. Molti Sindaci hanno promosso ricorsi davanti ai tribunali amministrativi contro il piano di razionalizzazione che, avendo chiuso alcuni sportelli, ridotto l’orario di altri e istituito la consegna della posta a giorni alterni, fa venir meno questa condizione. I giudici amministrativi hanno rimesso la valutazione se la legge italiana sia in contrasto con la normativa Ue, alla Corte di giustizia dell’Unione europea. “In questo quadro – sostiene il presidente ANCI – procedere con la seconda fase di privatizzazione fa suonare un ulteriore campanello d’allarme in quelle comunità, le più piccole soprattutto, che hanno nell’ufficio postale un presidio dello Stato e un servizio sociale”.

Un servizio di interesse pubblico diffuso e radicato in tutto il territorio

Le criticità di questa fase di razionalizzazione, da tempo messe in evidenza  dall’ANCI e in gran parte dovute  alla privatizzazione, vanno considerate alla luce del fatto che Poste italiane è sì una Spa, ma svolge innegabilmente un servizio di interesse pubblico diffuso e fortemente radicato in tutto il territorio nazionale. In quelle aree interne che costituiscono il 70% del territorio si sta assistendo a un progressivo diradamento dei servizi da cui conseguono l’abbandono di realtà ricche di storia, identità e valori irrinunciabili per il Paese, e la corsa verso i centri urbani maggiori con l’inevitabile peggioramento della vivibilità di questi ultimi. Un tema così rilevante, questo, da essere sollevato anche dal presidente della Repubblica Mattarella durante l’ultima Assemblea nazionale dell’ANCI, a Bari nell’autunno scorso.

Una nuova organizzazione che non penalizzi i cittadini

La privatizzazione di Poste non può quindi prescindere da un rafforzamento delle rete postale e più in generale da un ritorno dello Stato nelle aree più periferiche, non marginali ma marginalizzate del nostro Paese. L’ANCI dà atto della stagione di confronto avviata nell’ultimo anno da Poste con Comuni, Regioni e Governo per evitare almeno la chiusura degli uffici come avvenuto in passato, per monitorare i disservizi come richiesto anche da Agcom e, soprattutto, per aprire un dialogo costruttivo che porti a una nuova organizzazione che non penalizzi i cittadini. “La capillarità della presenza degli uffici postali non deve essere considerata un peso ma un asset strategico, un valore per l’azienda e per il Paese – conclude Decaro – riempiendo di significato quanto tra l’altro previsto nell’accordo nazionale tra Poste e il ministero dello Sviluppo economico”.


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