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Pubblico impiego: centralità dei contratti nazionali e premi di produttività
Riforma PA, Testo Unico in arrivo: cosa emerge dal confronto tra Governo e sindacati

La centralità dei contratti nazionali è stato uno dei temi chiave nel confronto avvenuto questa settimana fra Governo e sindacati nel percorso di allineamento volto a rinnovare i contratti del comparto PA (leggi in proposito l’articolo T.U. pubblico impiego: flessibilità e rinnovi contrattuali, i nodi verso l’approvazione).

Contratti nazionali

Il ritorno di molte materie dalla legge ai contratti, dopo l’attività “legificazione” delle regole del rapporto di lavoro pubblico tentata nel 2009, si configura in effetti come uno dei pilastri del nuova riordino dell’architettura complessiva del pubblico impiego, in attuazione della legge delega della Riforma Madia, atteso in Consiglio dei ministri per il primo fondamentale via libera.
Le bozze al centro del confronto fissano una sorta di principio supremazia dei contratti, che potranno incidere su tutte le regole dei rapporti di lavoro con l’eccezione di quelle espressamente indicate come “inderogabili”.

Premi di produttività

Tra i punti principali toccati da questo cambio di prospettiva affiora proprio la distribuzione dei premi di produttività, che la riforma del 2009 (mai attuata causa blocco della contrattazione) chiedeva di negare a un quarto del personale, indirizzando i premi verso il 25% dei dipendenti giudicati “eccellenti” e spalmando il resto sul 50% degli organici. Dopo un primo tentativo di mantenere comunque delle percentuali rigide, senza tuttavia imporre azzeramenti alle indennità a gruppi di dipendenti, le ultime bozze analizzate hanno rinunciato del tutto a questa strada, chiedendo ai contratti nazionali di garantire “un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati” ai giudizi dati dagli organismi indipendenti di valutazione, che a loro volta dovranno essere contraddistinti da una “significativa differenziazione”. Si tratta, in soldoni, di provare a superare la prassi consolidata delle indennità a pioggia senza indicare in via preventiva criteri validi per tutti gli enti pubblici.
La centralità del contratto nazionale viene infine confermata dal richiamo al Jobs Act, che non riguarda l’articolo 18 (viene infatti confermata una volta per tutte l’applicazione alla Pubblica Amministrazione del vecchio Statuto dei lavoratori), ma proprio il ruolo dei contratti: tutti i rimandi del decreto attuativo del Jobs Act, spiegano le bozze del nuovo provvedimento, all’interno della PA devono essere riferite riferite alle intese nazionali.

Piano assunzioni per i precari da almeno 3 anni

Saranno i precari con almeno tre anni di servizio, che hanno già superato il concorso, ad essere interessati dal piano straordinario per le assunzioni nella Pubblica Amministrazione. Questo è ciò che è previsto dall’ultima bozza del Testo Unico per il pubblico impiego che sarà posta all’attenzione del Consiglio dei ministri con tutta probabilità entro la fine della settimana.
“Le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso dai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, possono nel triennio 2018-20, in coerenza con i propri fabbisogni, assumere a tempo indeterminato personale non dirigenziale già selezionato con procedure concorsuali che abbia maturato almeno 3 anni di servizio, anche non continuativi”, si legge nella bozza. Nelle precedenti versioni non era indicata la cifra relativa agli anni.


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