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Le comunità locali come laboratori di convivenza e identità, accoglienza e integrazione
L’indagine di Legautonomie sulle politiche di accoglienza ed integrazione e sul ruolo fondamentale che hanno i Comuni nella sperimentazione di nuove forme di convivenza. In allegato slide e note dei Comuni

La scottante tematuica dei profughi e dei rifugiati, tutt’altro che in fase di soluzione, ci accompagnerà ancora per molto tempo, generando qualche tensione e pericoli di “disunione” dell’Europa e dell’Italia. La modalità di gestione del fenomeno in Italia prosegue fra alcune difficoltà, per risolvere le quali è necessaria una collaborazione istituzionale tra tutti i livelli di governo (Stato, Regioni, enti locali) e gli attori sociali. 
Sul tema delle “comunità locali laboratori di convivenza e identità, accoglienza e integrazione” Legautonomie e la Fondazione Nilde Iotti, con la collaborazione di Leganet, hanno promosso un’iniziativa di confronto e approfondimento sulle politiche di accoglienza ed integrazione e sul ruolo fondamentale che hanno i Comuni, in particolare quelli piccoli e delle aree interne, nella sperimentazione di nuove forme di convivenza che partono dal basso e si alimentano attraverso il coinvolgimento delle associazioni locali, della rete di volontariato, dei cittadini. 

Nel corso del seminario (svoltosi nella giornata di lunedì 21 novembre) Legautonomie e la Fondazione Nilde Iotti hanno presentato i risultati di un’indagine condotta sui Comuni non aderenti allo SPRAR (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) con l’obiettivo di conoscere la posizione dei Sindaci, le principali motivazioni che hanno finora indotto le amministrazioni locali a non partecipare al sistema di accoglienza, e far emergere con chiarezza motivazioni e difficoltà che i primi cittadini riscontrano nella presentazione di un progetto SPRAR, nonché le loro possibili proposte in materia di accoglienza.

“Oggi in Italia sono accolte circa 160 mila persone, ma la maggior parte di questo flusso rientra nel cosiddetto circuito straordinario, ossia accoglienze a diretta gestione dei Prefetti e non concordate con i Sindaci. Un sistema di ripartizione graduale e sostenibile dei richiedenti asilo e dei rifugiati sul nostro territorio è possibile attraverso la SPRAR, un sistema di accoglienza finanziato per il 95% con risorse statali, e gestito direttamente dai Comuni che decidono di aderire: su questo dato – spiega Marco Filippeschi, presidente di Legautonomie e sindaco di Pisa -, non tutti i Comuni intervistati, non aderenti al sistema SPRAR, hanno dimostrato una approfondita conoscenza. Quello che emerge maggiormente è la conferma della necessità di una maggiore assistenza e vicinanza delle istituzioni di governo al territorio, maggiori risorse e personale con adeguata formazione, per gestire al meglio i progetti ed evitare tensioni sociali. Risulta pertanto condivisibile l’iniziativa del presidente ANCI Antonio Decaro di scrivere a tutti i sindaci per informarli della Direttiva del Ministero dell’Interno, con loro concordata, sulla “clausola di salvaguardia”, che esenta i Comuni aderenti alla rete SPRAR da ulteriori forme di accoglienza, riportando la governance in mano ai Sindaci”, conclude Filippeschi.
Per quanto il finanziamento di un progetto SPRAR, non tutti i Comuni intervistati (non aderenti al sistema SPRAR) hanno dimostrato di averne un’approfondita conoscenza: solo il 40% ha risposto correttamente indicando che la percentuale di costi finanziata dal Ministero dell’Interno è 95%, e restante 5% a carico del Comune.

In merito alle principali motivazioni di non adesione dei Comuni alla rete SPRAR solo il 6% indica il “carattere politico” di tale scelta, mentre il 60% parla di mancanza di supporto da parte di soggetti del terzo settore e privato sociale sul territorio, e oltre il 50% di carenza di personale comunale o personale privo di adeguata formazione.

Dall’indagine affiora con forza la disponibilità dei Comuni all’accoglienza e alla integrazione. Contemporaneamente emerge la richiesta di risorse e personale: il 50% presenterebbe un progetto SPRAR se fossero previsti maggiori finanziamenti di fondi destinati ai servizi sociali, il 37% se fossero obbligatoriamente previste, contestualmente all’apertura di un centro SPRAR, forme di assistenza parallele rivolte a categorie svantaggiate di cittadini italiani, mentre il 25% dei Comuni vorrebbe, per i proponenti un progetto, lo sblocco delle assunzioni di personale.

>> Per una visione ancora più completa della questione, Legautonomie mette a disposizione le slide relative all’indagine e le note esplicative dei Comuni al questionario.


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