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Tariffa rifiuti, una riforma rinviata a data da destinarsi
La denuncia dell'Anutel sul caos tributario

Fonte: Italia Oggi

Le traversie che affliggono la TIA, la «tariffa» che dovrebbe sostituire la Tarsu, sembrano destinate a non trovare requie. Una tra le questioni più controverse è se si tratti o meno di tributo. Quesito tutt’altro che teorico, perché dalla soluzione discendono fondamentali conseguenze in ordine alle modalità di accertamento e riscossione, alle sanzioni, alla giurisdizione competente e all’applicazione dell’Iva. La prassi ministeriale si era nettamente orientata per la natura corrispettiva della TIA, con conseguente applicazione dell’Iva (Ris. 25/E del 2003 e 250/E del 2008). La Cassazione, dopo una prima pronuncia (S.U. 3274/2006) che aveva dichiarato la giurisdizione ordinaria (e quindi la natura patrimoniale della TIA), ha poi messo a segno una serie di decisioni di segno opposto (S.U. 4895/2006; Cass. n. 17526/2007, 5297-5299/2009). La successiva Cass. S.U. n. 13894/2009 aveva mostrato di propendere per la natura non tributaria, ma aveva poi demandato l’ultima parola alla Consulta. Questa, nelle tre decisioni n. 238/2009, 300/2009, 64/2010, ha nettamente affermato la natura tributaria della TIA, riconoscendo: a) la giurisdizione delle Commissioni (e quindi la legittimità costituzionale dell’art. 2 dlgs 546/1992); b) l’applicabilità delle norme dettate per la generalità dei tributi locali in ordine ad accertamento e riscossione (art. 1 legge 296/2006); c) l’estraneità della Tariffa dal campo di applicazione dell’Iva. E sulla scorta di tali decisioni le S.U. della Cassazione hanno ribadito la giurisdizione del giudice tributario (S.U. 8313/2010 e la recentissima n. 14903 del 21 giugno 2010). La consolidata posizione delle magistrature superiori implica complessi (e onerosi) profili gestionali, perché comporta, da un lato, il diritto al rimborso dell’Iva indebitamente versata da tutti gli utenti del servizio di igiene urbana. Dall’altro, la necessità di riversare all’erario le somme che gli enti gestori hanno portato a credito Iva nell’esercizio del diritto di detrazione per l’imposta versata ai loro fornitori. Il punto poteva quindi ritenersi definitIvamente acquisito, tanto che si era persino ventilato di una risposta a un’istanza d’interpello nel senso propugnato dalla Corte costituzionale. Nel question time del 21.4.2010 il sottosegretario Molgora precisava peraltro che sul punto nulla era in realtà in elaborazione e che nella risposta all’interpello le Entrate si erano limitate a fare una ricognizione dei principi affermati dalla sentenza n. 238/2009 della Corte costituzionale, nonché delle conclusioni relativamente alla natura tributaria della TIA. Ora, il dl 78/2010, all’art. 14, c. 33, sancisce che «le disposizioni di cui all’art. 238 del dlgs 3.4.2006, n. 152 (c.d. Testo unico dell’ambiente), si interpretano nel senso che la natura della tariffa ivi prevista non è tributaria». Disposizione dichiaratamente interpretativa e retroattiva, che interviene a individuare «d’imperio» la natura giuridica della tariffa. Sul punto, va rimarcato quanto segue. 1) A prescindere se spetti al legislatore o all’interprete qualificare un’entrata, non può dimenticarsi che nemmeno la legge può operare al riguardo se il presupposto dell’entrata è identico, anche dal punto di vista lessicale, a quello del «tributo» Tarsu (cfr. art.62, comma 1, dlgs 507/1993); 2) La norma si applica alla tariffa disciplinata dall’art. 238 dlgs 152/2006 (e non alla TIA ex art. 49 dlgs 22/1997), non ancora operativa in mancanza del regolamento recante il nuovo metodo normalizzato, come ha del resto riconosciuto l’art. 5, co. 2-quater, dl 208/2008, che ha facultizzato i Comuni a passare all’entrata in esame dopo il 30.6.2010 (e quindi per effetto dell’art. 52 dlgs 446/1997, dal 2011) se entro tale data non sarà emanato il regolamento in questione. Si tratta quindi di disposizione ad oggetto non ancora attuale e pertanto con efficacia «retroattiva» (in quanto interpretativa) _ rinviata a data da destinarsi. 3) Se un’entrata ha natura tributaria allora si pone certamente al di fuori del campo di applicazione dell’Iva. Ma non vale l’inverso, perché esistono entrate non tributarie di diritto pubblico ugualmente fuori campo Iva (sanzioni amministrative, contributi sociali). In base anche ai principi comunitari, l’Iva si applica ai «corrispettivi» a fronte di prestazioni di beni o di servizi, non ad entrate che, per la presenza di netti posizioni di potere pubblicistico, si caratterizzano come prestazioni patrimoniali imposte, come appunto una tariffa con presupposto identico ad una tassa. 4) La norma appare diretta a cancellare il rimborso Iva degli utenti, pratica già di per sé di assai dubbia correttezza costituzionale, perseguita con strumenti e modalità che suscitano più problemi di quanti non vorrebbero risolvere. Ulteriori perplessità suscita il secondo periodo della norma, secondo il quale «Le controversie relative alla predetta tariffa, sorte successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria». È evidente che, se la norma non ha ancora un oggetto a cui applicarsi, prevederne l’applicazione solo per il futuro è allora assolutamente inutile. Ma è bene che sia così, perché altrimenti (ossia se la disposizione riguardasse anche la TIA «Ronchi»), la norma sarebbe incostituzionale, laddove limita la sua operatività solo per il futuro. Infatti, se si dichiara che l’entrata non è mai stata un tributo, allora le Commissioni non potevano avere giurisdizione nemmeno per le controversie pendenti. Come ha infatti da tempo chiarito la Corte costituzionale, il legislatore può anche ampliare la giurisdizione delle Commissioni. Ma, per non violare il divieto di istituire giudici speciali di cui all’art. 120 Cost., deve comunque trattarsi di entrate tributarie, risultando la legge, in caso contrario, in contrasto con la Carta fondamentale, come recentemente la Consulta ha statuito per il Cosap (sent. 64/2008) e per il canone di depurazione delle acque reflue (sent. 39/2010). Si attendono ora correzioni in sede di conversione; ma forse l’unica cosa che un legislatore razionale dovrebbe fare è di lasciar decadere la disposizione, evitando di aggiungere ulteriore confusione in una materia che ? come l’Anutel ha più volte denunciato con forza – non ne ha certo bisogno.


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