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Il federalismo disegna il tracciato
Il percorso nella relazione presentata alle camere: si comincia con il federalismo demaniale

Fonte: Italia Oggi

Si comincia col federalismo demaniale, per valorizzare un patrimonio pubblico da diversi miliardi di euro attraverso l’attribuzione dei beni ai territori dove questi hanno avuto la loro origine storica e dove hanno la loro ubicazione fisica. Inoltre, prosegue l’opera di razionalizzazione delle informazioni contabili degli enti locali, riguardo alla quale l’esecutivo sta lavorando al decreto di attuazione della legge n. 42/2009 sulla armonizzazione dei bilanci. Terzo, la soppressione dei trasferimenti statali e la loro sostituzione nella forma della fiscalizzazione. Sono questi i primi tre punti, elencati in ordine di fattibilità e di priorità, che emergono dalla relazione del governo sul federalismo fiscale. Il documento è stato presentato alle camere a norma dell’articolo 2, comma 6 della legge n. 42/2009, che imponeva appunto all’esecutivo di informare entro il 30 giugno 2010 il parlamento circa il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e l’ipotesi di definizione della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra Stato e amministrazioni locali. L’attuazione del federalismo interviene in un quadro complessivo che, si legge nella relazione, conta oggi su un sistema tributario messo al servizio dei governi locali costituito da ben 45 forme di gettito (si veda la tabella in pagina). Un rilevante insieme di prelievi da parte di regioni, province e comuni che però risultano «stratificati e frammisti a zone grigie di parafiscalità che alimentano enormi contenziosi, senza garantire la effettiva tracciabilità dei tributi che è condizione indispensabile per attivare la trasparenza nei confronti degli elettori». Ciò posto, la relazione analizza in dettaglio lo stato dell’arte dei singoli interventi previsti per l’attuazione del federalismo fiscale, prevalentemente alla luce dell’attività svolta finora dalla Commissione tecnica paritetica sul federalismo fiscale (Copaff). Fabbisogno standard di province e comuni. Oltre alle tre misure precedentemente indicate (federalismo demaniale, banca dati unitaria e fiscalizzazione dei trasferimenti), il governo sta lavorando alla determinazione dei fabbisogni standard degli enti attraverso il coinvolgimento della metodologia già applicata da tempo per gli studi di settore. È prevista, pertanto, la partecipazione di Sose, la società che gestisce e aggiorna i parametri degli studi, utilizzando una banca dati estesa su circa 25 mila variabili e con 15 mila filtri per verificare la validità dei dati forniti tramite i questionari. La novità rispetto al passato, che ha fatto registrare esperienze poco efficaci (la relazione cita la legge n. 85/1995), è che Sose non individuerà una formula in grado di calcolare già ex ante una cifra dei risparmi per ciascuna funzione, quale ad esempio l’anagrafe o gli asili nido. Il nuovo metodo, nelle intenzioni del governo, consentirà sì di arrivare alle cifre, «ma attraverso un processo specifico, altamente innovativo per il settore degli enti locali, cui sarà applicato, nelle forme che saranno concertate». Costi standard e fiscalità regionale. Per quanto riguarda il metodo dei costi standard, uno dei capisaldi della legge sul federalismo, la relazione informa le camere che sono in essere approfondimenti sulla determinazione di una quota ponderata, con pesatura del 100% di spesa e l’assunzione come parametro di un insieme di regioni ad alto livello di prestazioni, da utilizzare come benchmark ottimale di riferimento. Inoltre, è in via di predisposizione un nuovo modello di governance responsabile, nonché il cosiddetto «inventario di fine mandato» (uno strumento che servirebbe a informare gli elettori sulla spesa sanitaria nella loro regione). Relativamente alla fiscalità territoriale, invece, la relazione evidenzia che il restyling tributario dovrà obbligatoriamente essere adottato di pari passo con i benefici derivanti dai costi standard e dalla razionalizzazione delle fonti di gettito. Così facendo, secondo il governo, la riforma potrà essere attuata «a invarianza complessiva di pressione fiscale», senza maggiori oneri per i contribuenti. Per raggiungere lo scopo, però, dovrà restare fermo quale presupposto il recupero dell’evasione. Sono comunque in corso elaborazioni e calcoli diretti a misurare gli effetti delle variazioni tributarie, anche con riguardo al recupero di efficienza. Fiscalità dei comuni. Per quanto attiene ai municipi, la relazione evidenzia che il gettito fiscale già oggi proprio dei Comuni è pari a circa 10 miliardi di euro, cui vanno a sommarsi circa 15 miliardi di trasferimenti statali. L’ipotesi di riforma considerata comporterebbe in primis il trasferimento ai Comuni dei tributi statali riguardanti il comparto immobiliare (imposte di registro, ipo-catastali, Irpef su immobili), per circa 15 miliardi, che si aggiungerebbero all’attuale gettito fiscale locale. Contemporaneamente, in via graduale sarebbero ridotti i trasferimenti dei fondi statali, lasciando quindi invariate le entrate appannaggio dei sindaci. Il tutto da leggere in chiave combinata con le recenti previsioni della manovra correttiva (dl n. 78/2010), che ha previsto una maggiore compartecipazione dei comuni nella lotta all’evasione nonché una maggiore incisività delle verifiche sugli immobili, a seguito dell’aggiornamento catastale e dell’istituzione dell’anagrafe immobiliare integrata. Fiscalità delle province. Previsioni sostanzialmente analoghe anche nella riforma del sistema tributario provinciale, mirata a garantire l’autonomia finanziaria dell’ente. Tuttavia, la relazione non illustra interventi specifici, limitandosi a sottolineare che le modifiche elimineranno «le fonti di gettito maggiormente caratterizzate da difetti strutturali, sempre sotto il vincolo dell’invarianza della pressione fiscale complessiva».


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