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Soa, più responsabilità senza poteri
Critiche allo schema di regolamento del codice appalti approvato dal consiglio dei ministri

Fonte: Italia Oggi

Ad oltre quattro anni dalla promulgazione del Codice dei Contratti (D. Lgs. 163/06), dopo numerosi tentativi falliti sembra essere (quasi) giunto a definizione il processo di approvazione del regolamento attuativo previsto dall’art. 5 del citato decreto legislativo. Il 18 giugno scorso, infatti, il consiglio dei ministri, su proposta del ministro dei trasporti e delle infrastrutture, Altero Matteoli, ha approvato lo schema di decreto del presidente della repubblica che, tra l’altro, ridisciplinerà il settore della qualificazione oggi normato dal Dpr. 34/2000. In occasione dei precedenti tentativi più volte si erano richiamate all’attenzione degli organi istituzionali le problematiche sollevate da alcune disposizioni inseriti nello schema adottato tra il 2008 ed il 2009, ed in diverse occasioni si era insistito perché fossero apportate le modifiche necessarie. Sebbene le istanze avanzate non avessero trovato alcun accoglimento in sede istituzionale, il naufragio dell’ultimo progetto a ridosso dell’estate 2009 aveva aperto una nuova fase dei lavori, offrendo la possibilità di una maggior collaborazione tra Istituzioni ed operatori. Nella fase di avvio dei lavori dell’attuale schema di regolamento, tanto dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ed infine dal ministro in persona, era stata dichiarata la piena disponibilità al dialogo con le associazioni di categoria ed in particolare con le Soa nella stesura del nuovo testo. In data 17 dicembre 2009 il consiglio dei ministri aveva approvato un testo preliminare che, pur presentendo alcune criticità, sembrava raccogliere molte delle istanze e delle analisi rivolte dalle Soa alle precedenti bozze. Nel successivo iter legislativo, tuttavia, l’iniziale apertura verso ipotesi collaborative è stata radicalmente smentita, cosicché nel testo in esame, non solo risultano mantenute alcune disposizioni particolarmente penalizzanti ed oggetto di aperte ed aspre critiche sin dalla prima stesura, ma ne sono state inserite di ulteriori ancor più destabilizzanti. Anzitutto, ci si riferisce al combinato disposto dell’art. 70 comma 3 e art. 73 comma lett. a) dello schema di Regolamento. A mente della prima disposizione testé citata, «Le soa sono comunque responsabili di ogni attività espletata in maniera diretta e indiretta in nome e per conto delle stesse», mentre la seconda prevede la sanzione sino ad 51.545,00 euro in caso di «trasmissione di informazioni, dati ovvero atti non veritieri, compresi i documenti forniti dall’impresa in sede di attestazione». È evidente come venga introdotta nell’ordinamento, contro ogni principio logico e giuridico, un caso di responsabilità oggettiva per fatto altrui: univoca è infatti l’interpretazione dell’inciso posto all’art. 70 comma 3 che stabilisce appunto la responsabilità degli organismi di attestazione delle azioni compiute (anche) da terzi. Il provvedimento appare palesemente volto a reprimere quei comportamenti scorretti ed illeciti posti in essere da soggetti esterni in collusione con la Soa, sui quali tante parole e tante energie si sono spese sino ad oggi. La formulazione della norma, tuttavia, appare radicalmente errata alla radice, presentandosi più come un mero placebo anziché dare effettiva soluzione al problema. La generalizzazione della responsabilità, infatti, non tiene conto della impossibilità della Soa (beninteso, non collusa) di verificare ex ante la documentazione prodotta dal soggetto esterno, ed in generale l’attività dello stesso, caratterizzandosi l’attività di qualificazione per un controllo esclusivamente ex post. Ciò anche alla luce dei poteri di indagine concessi agli organismi di qualificazione, che risultano infatti fortemente limitati tanto sul piano oggettivo che su quello temporale: malgrado le insistenze in tal senso, infatti, ad oggi ancora alla Soa è ancora precluso l’accesso al c.d. cassetto fiscale, ed anche l’accesso a casellario giudiziale e posizioni contributive è vincolato alla sussistenza ed alla durata del contratto di attestazione. Questo, nei confronti delle imprese attestande; nessun potere è invece riconosciuto nei confronti di soggetti esterni, le indagini ed i controlli sui quali finiscono, in definitiva, per dipendere dalla collaborazione degli stessi. Già in passato, ed in effetti sin dalla nascita del sistema di qualificazione, si erano rammostrate le difficoltà in merito all’esercizio, da parte delle Soa, di poteri pubblicistici che mal si conciliano con la natura privatistica delle stesse, che in molti casi rendono oltremodo problematico l’effettiva possibilità di controllo e verifica, e come le responsabilità gravanti sugli organismi di attestazione, e gli alti compiti ad essi affidati, non possano prescindere dalla concessione di idonei poteri ispettivi ed autoritativi che consentano l’efficace esperimento dei compiti istituzionalmente affidati alle Soa stesse. Ciò, appare ancor più necessario laddove si richieda, pena la responsabilità diretta della Soa, di vigilare sulla condotta di soggetti esterni, prescindendo delle peculiarità del caso concreto e dall’esistenza o meno di collegamenti e collusioni tra questi e l’organismo di attestazione. Per tali ragioni, l’estensione di responsabilità in capo alle Soa per atti e fatti di terzi, non accompagnata dall’attribuzione di idonee facoltà ispettive, appare una soluzione draconiana, volta, in ultima battuta, a rendere (co)responsabile un soggetto, almeno in linea di principio più solvibile, cui «far pagare» le colpe altrui in caso non sia possibile perseguire il colpevole effettivo. Ma ciò finisce per apparire una rivisitazione del principio medievale per cui “sbaglia uno, pagano tutti”, in contrasto con la secolare tradizione giuridica del diritto moderno. È appena poi il caso di sottolineare come l’acritica applicazione di cospicue sanzioni in forza del disposto ora esaminato, lungi dal costituire un efficace deterrente per le ragioni su esposte, potrebbe minare la sopravvivenza di molte Soa, non necessariamente «sospette», e finirebbe per costituire uno strumento di disturbo agevolmente utilizzabile ogniqualvolta si desideri colpire un concorrente. Egualmente criticabile è, poi, la disposizione di cui all’art. 73 comma 4, ultimo periodo, a mente del quale «per le imprese qualificate fino alla II classifica di importo, il corrispettivo spettante alle Soa per ciascuna attività è ridotto del 20%». Con tale disposizione, peraltro mai ipotizzata prima d’ora, il legislatore, evidentemente travisando i rilievi operati dal Consiglio di stato sul punto, sembra aver voluto dare attuazione all’art. 5 comma 5 lett. g), nella parte in cui prevede la facoltà di introdurre «misure incentivanti stabilite dalla legislazione vigente volte ad attenuare i costi della qualificazione per le piccole e medie imprese». La semplice riduzione della tariffa sulle attestazioni di modesta dimensione non può infatti integrare il concetto di incentivo ai sensi di legge. Il provvedimento, infatti, lungi dal prevedere, come di consueto in tema di incentivi, una qualche forma di concorso statale al costo di attestazione, interviene esclusivamente ed autoritativamente sulla determinazione del prezzo, incidendo così, direttamente e profondamente, sulla gestione finanziaria delle Soa, a fronte del quale tuttavia non si prevedono corrispondenti «ammortizzatori» volti ad attenuare ed eliminare l’effetto finanziario dell’inevitabile calo di fatturato. Si è avuto più volte modo di segnalare come le Soa, scontando onerosi obblighi di organico minimo e l’imposizione di tariffe minime e massime decise a livello istituzionale (situazioni, peraltro, confermate dal regolamento in esame), vedano fortemente limitata la libertà d’iniziativa economica normalmente concessa ai privati; e come, a dispetto di numerose imposizioni proprie del soggetto pubblico, la Soa rimanga comunque a tutti gli effetti un operatore privato al più esercente un pubblico servizio. Orbene, è evidente come l’ulteriore imposizione di un vero e proprio «sconto», inasprendo i già angusti oneri cui la Soa è soggetta, si ponga in aperto contrasto con l’art. 41 Cost.. Posto che, peraltro, la previsioni di incentivi è una mera facoltà riconosciuta dal Codice e non già un obbligo per il Legislatore, occorrerà necessariamente un intervento emendativo dell’attuale disposizione in modo che, laddove il governo effettivamente intenda avvalersi della suddetta facoltà, preveda un corretto sistema di incentivi (ad esempio a riconoscendo detrazioni d’imposta pari al costo di attestazione per l’impresa, ovvero corrispondenti sconti d’imposta alla Soa chiamata a ridurre le tariffe), che non si estrinsechino in meri interventi di politica di prezzo a scapito degli operatori privati. Inoltre, la formulazione letterale della norma è tale da ingenerare dubbi applicativi di rilevante portata: non risulta infatti chiaro se l’agevolazione si applichi indistintamente a tutte le attestazioni, anche relative a più categorie, purché le stesse siano tutte contenute nei limiti della II classifica, ovvero se la presenza di più categorie, indipendentemente dalla classifica, escluda la riduzione di tariffa; o se, ancora, in presenza di più categorie, alcune superiori alla classifica II, la riduzione sia applicabile o meno, ed in che misura. Da ultimo, non può tacersi una breve critica all’omessa estensione, pure tanto auspicata, del sistema di qualificazione anche a servizi e forniture. In più sedi si era infatti insistito affinché l’intera contrattualistica pubblica fosse soggetta a qualificazione obbligatoria dei concorrenti, a tutela e garanzia della parte pubblica di operare esclusivamente con soggetti reputati idonei in forza di chiari e univoci requisiti di legge. Inoltre, ciò avrebbe eliminato il pericolo di elusione dell’obbligo di qualificazione, e di difficoltà degli operatori di ottenere la certificazione lavori, in tutti quei casi «misti», ove all’esecuzione di lavori si affianca la prestazione di servizi collaterali o forniture. Il mancato recepimento di tale proposta lascia una ampia fetta del settore priva di regolamentazione ad hoc, rimettendo alle stazioni appaltanti la valutazione caso per caso tanto della tipologia di oggetto del singolo contratto, che degli operatori (qualificati e non) di volta in volta abilitati a concorrere. Concludendo, lo schema approvato dal consiglio dei ministri, inizialmente frutto della tanto auspicata concertazione tra soggetti istituzionali e non, si presenta allo stato invece lontano delle iniziali proposte che ne avrebbero assicurato l’accettazione da più parti. Nuovi elementi rendono infatti necessario un ulteriore confronto istituzionale volto a raggiungere l’effettività della collaborazione tanto promessa, in mancanza della quale sembra inevitabile un nuovo conflitto.


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