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In pensione con requisiti "scorrevoli"
La manovra in Parlamento - Il welfare che cambia/Rovesciamento di prospettiva. Addio all'idea del traguardo prefissato nel tempo - Ministeri reattivi. Per la mancata revisione scatterà la responsabilità erariale

Fonte: Il Sole 24 Ore

«E’ la vita, bellezza!». Gli anni a disposizione aumentano e anche la pensione arriverà più tardi. Secondo gli ultimi dati Istat, chi è nato nel 2009 vivrà in media fino a quasi 79 anni se uomo e poco più di 84 se donna. Così quello che sembra un traguardo prima o poi ineluttabile, dal 2015 diventerà a pieno titolo un asse portante del nostro sistema previdenziale. Il maxiemendamento alla manovra approvato al Senato giovedì e ora all’esame della Camera introduce definitivamente il concetto di speranza di vita nella definizione dei requisiti necessari per il riconoscimento del trattamento previdenziale. In questo modo la pensione diventerà «scorrevole» e sempre meno ancorata a parametri fissi e certi come hanno imparato a conoscerli almeno un paio di generazioni nell’Italia repubblicana. Con un’evidente ricaduta in termini di risparmio di spesa pubblica alla voce welfare. Con la progressione che il nuovo meccanismo introdurrà a partire dal 2015, infatti, servirà un anno in più per andare in pensione nel 2028. In pratica per il trattamento di anzianità un lavoratore dipendente dovrà aver compiuto minimo 62 anni e un autonomo iscritto all’Inps 63 anni. E dodici mesi in più serviranno anche per l’accesso alla prestazione di vecchiaia. Ma l’adeguamento triennale (ad eccezione della diversa periodicità stabilita per il 2019) non è il solo tassello di un mosaico, che di fatto sposta sempre più avanti il momento di accesso alla pensione. Tra il testo originariamente varato e quello in corso di conversione, sono almeno due le modifiche sostanziali che vanno in questa direzione. Le finestre mobili per chi maturerà i requisiti a partire dal 1° gennaio del prossimo anno: con un periodo di stand by di 13 e 19 mesi rispettivamente per dipendenti e autonomi (si veda anche l’articolo in basso). Questo vorrà dire che nel 2028,l’attesa sarà ulteriormente differita, arrivando anche a oltre un raddoppio dei tempi di permanenza al lavoro. E sempre il maxiemendamento introduce l’adeguamento con cui dal 2012 per le lavoratrici del pubblico impiego sarà necessario aspettare il compimento dei 65 anni di età per dare l’addio al posto di lavoro. Una norma che imprime un’accelerazione rispetto al sistema più graduale ora vigente per arrivare ad attuare in tempi più celeri quanto richiesto dall’Unione europea al nostro Paese dopo la sentenza emessa a fine 2008 dalla Corte di giustizia del Lussemburgo. Del resto, la revisione dei sistemi previdenziali è un punto all’ordine del giorno nell’agenda politica della gran parte dei paesi comunitari. Come in Grecia, dove l’impulso alla riforma è arrivato nel pacchetto anti-crisi dopo la “tempesta” finanziaria delle settimane scorse e dove, però, il taglio degli importi e l’aumento dell’età pensionabile (nella norma approvata dal Parlamento è stata portata a 65 anni per i lavoratori privati) ha portato a scioperi e manifestazioni di piazza. O in Francia, dove il consiglio dei ministri ha appena licenziato un testo che ora sarà all’esame delle commissioni parlamentari. Dentro ci sono il progressivo riallineamento dei contributi del settore pubblico a quello privato ma soprattutto innalzamento dell’età minima pensionabile da 60 a 62 anni tra il luglio del 2011 e quello del 2018, e di quella massima e quella massima dai 65 ai 67 anni. Il tutto in un clima di forte dissenso sociale con i sindacati già mobilitati. In questo senso, la differenza dell’Italia è stata rimarcata nei giorni scorsi dal ministro Giulio Tremonti quando ha sottolineato come «un’importante riforma delle pensioni che è stata fatta passare con un emendamento senza che si facesse un solo giorno di sciopero». E l’aggancio all’aspettativa di vita apre una sorta di cantiere continuo dell’età pensionabile. Il meccanismo messo a punto chiama in causa la responsabilità dei soggetti istituzionali coinvolti. Le “revisioni” triennali saranno demandate a un decreto, che ministero dell’Economia e del Lavoro dovranno varare dodici mesi prima di ogni aggiornamento. Se non lo facessero, saranno chiamati a rispondere per danno erariale. Tutto,però,ruoterà sulla rilevazione che l’Istat metterà a disposizione sulla speranza di vita. Il primo appuntamento (in vista dell’adeguamento del 2015) sarà nel 2013. Entro la metà di quell’anno, l’Istituto nazionale di statistica comunicherà cosa è cambiato nel triennio precedente: il “termometro” sarà rappresentato dalla speranza di vita a 65 anni in riferimento alla media della popolazione residente in Italia. Da lì partirà il sistema di calcolo che, tra decimali e arrotondamenti, misurerà il tempo ulteriore da aggiungere ai limiti di accesso alla prestazione e che, però, per la prima volta non potranno andare oltre i tre mesi in più. Con un rovesciamento di prospettiva che ha quasi del copernicano: non è più la vita (passata) ad inseguire la pensione ma la pensione ad assecondare un’esistenza che si preannuncia sempre più longeva.


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