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I mille virus che vogliono attaccare la Costituzione
IN PARLAMENTO

Fonte: Il Sole 24 Ore

Che forma hanno le riforme? Nessuna, sono puro spirito: il loro corpo resta invisibile agli occhi dei fedeli. E così un’altra “legislatura costituente” sta trascorrendo invano, benché il presidente Fini – durante la cerimonia del Ventaglio- abbia espresso l’auspicio che in autunno il treno possa ripartire. Sempre che non sopravvenga un altro sciopero dei macchinisti, o un guasto sui binari. Però se la politica non è in grado di confezionare una Costituzione riformata, si spreme le meningi sulla Costituzione immaginata. Anche troppo, verrebbe da osservare. Perché il sito web di Mo-ntecitorio enumera 157 progetti di legge costituzionale via via depositati nei due anni della legislatura in corso. O meglio non li enumera, non li colloca in un elenco cronologico, non li organizza in ordine al-fabetico attraverso i nomi dei presentatori. Li piazza alla rinfusa, costringendoti a contarli con il pallottoliere. Ma sempre meglio rispetto al sito del Senato, dove manca persino la voce relativa. Sicché t’arrangi, apri finestre di ricerca, corri a zig zag finché lo schermo del computer t’inonda con 911 documenti, dove però c’è dentro un po’ di tutto, disegni di legge ordinari e costituzionali, testi e relazioni. E allora t’armi di pazienza e ci clicchi sopra uno per uno, anche se il più delle volte ti tocca ricominciare da zero, perché dopo una manciata di secondi il sito t’avverte che nel frattempo la pagina è scaduta (oltre che scadente). Non importa, bene o male ne vieni fuori con un bottino in mano. Scopri così che un virus riformatore si è impadronito delle assemblee legislative, sicché ogni parlamentare calza in testa un cappello da Napoleone, e pretende solo soletto di ricreare l’universo. Come il senatore Benedetti Valentini, che riformula 28 articoli della nostra Carta. O Pera, che arriva a 37. Quanto al numero d’iniziative,alla Camera il recordman è Pisicchio con 9 progetti, seguito a ruota da Vignali e Zeller (7 ciascuno). Mentre al Senato la targa d’oro spetta senza dubbio all’ex presidente Cossiga,che nella sua furia iconoclasta ha proposto perfino d’abolire i senatori a vita, e cioè se stesso. Invece Malan, magnanimo, li terrebbe sui banchi del Senato, stabilendo però che non possono votare ( e allora che ci stanno a fare?). D’ altronde in queste faccende la divergenza d’opinioni è all’ordine del giorno. Metti per esempio la ghigliottina sui troppi deputati che popolano il palazzo di Montecitorio: sempre Malan ne abbasserebbe il numero da 630 a 400, stabilendo inoltre che il nuovo parlamento debba insediarsi a termini di legge un giovedì (per regalargli la prima settimana corta? O perché di giovedì cade tradizionalmente l’Ascensione?). Invece Bocchino è più largo di maniche: 500, come suggerisce pure Amici. Propone 400 anche D’Antona, la cui ricetta tuttavia prospetta una falcidia generale: sull’ufficio di presidenza, sulle commissioni permanenti, su quelle speciali, sulle inchieste parlamentari. Ma siccome la corsa al ribasso non ha limite, vengono superati entrambi nel disegno di legge a prima firma Belisario: 300 deputati (e 150 senatori). Del resto pure la Consulta deve porgere il collo alla mannaia: Versace diminuirebbe i giudici costituzionali da 15 a 9, anche se poi ne prolungherebbe la durata in carica, da 9 anni a 15. Così, per simmetria. Al dimagrimento s’affianca poi il ringiovanimento, e anche qui ce n’è per tutti, dai deputati (secondo Bocchino l’età minima scenderebbe da 25 anni a 18) al capo dello Stato (non più 50 anni ma 40, secondo Pastore; addirittura 35 per Malan). Sennonché ogni furore giacobino si spegne davanti al campanile. Da qui un’emorragia di piccoli comuni dal Veneto al Trentino, dove a quanto pare l’euro non è mai stato svalutato. Da qui l’idea di Raisi e altri suoi colleghi d’istituire la regione Romagna. Quella di Paniz,che vorrebbe un’autonomia speciale per Belluno, mentre Stiffoni opta per Treviso. Quella di De Poli, che invece la conferirebbe al Veneto. Di Formisano, che farebbe altrettanto con il Lazio. Di Iannarilli, che a sprezzo della geografia trasformerebbe in regione la città di Roma. Per finire con Massida, che vuole un nome in sardo per lo statuto sardo: “Carta de logu de Sardigna”. Ma naturalmente i nostri ri-costituenti non s’appassionano esclusivamente alle questioni locali. Hanno nel cuore i valori, gli ideali. E allora via a rimpolpare la Prima parte della Costituzione, che evidentemente non è affatto un tabù. Il senatore Peterlini vuole metterci dentro gli animali. Pianetta e De Corato hanno un pensiero per gli anziani. Barbieri invece pensa ai padri, dato che l’art. 31 cita soltanto le madri. Napoli vuole aggiungere ai diritti dell’uomo quelli del fanciullo, dimenticando tuttavia che se ne occupa già proprio l’art. 31. Malgieri, Butti, Mosella, Centa e uno stuolo di parlamentari intendono colmare la lacuna costituzionale sullo sport. E via via, dalle vittime dei reati (Casson e altri 19 senatori) fino agli avvocati, dei quali si cura l’avvocato Pecorella. Senza dire delle norme di principio, dal riconoscimento della tradizione giudaicocristiana (Cota) all’inviolabilità della vita privata (Boscetto), fino alla perentoria enunciazione di Malan: il nuovo art. 1 fonderà l’Italia “sulla civiltà dei cittadini”. Speriamo bene. Rimarrebbero in ultimo gli interventi sulla forma di governo, ma a questo punto è finito lo spazio e anche la voglia. Se ricordiamo che un quarto del tempo speso dai costituenti del 1947 ebbe ad oggetto la materia costituzionale, ciò che meritasse di trovare posto nella Carta, c’è davvero da rimpiangere quell’epoca, quel costume di civiltà giuridica. Però è d’obbligo indicare almeno la proposta di Cossiga, che intende attribuire al capo dello Stato il potere di sciogliere tutti gli organi costituzionali, nominando al contempo un governo provvisorio. D’altronde sulle riforme gli uomini d’ingegno spesso s’ingegnano a sproposito. Per esempio il premio Nobel von Hayek suggeriva d’eleggere un’assemblea legislativa che durasse in carica tre lustri, formata obbligatoriamente da persone tra i 45 e i 60 anni. Ma forse quest’altra idea sarebbe stato meglio non citarla: c’è il rischio che domattina qualche parlamentare la metta per iscritto.


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