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Fuga dal «comma 24» in cerca di salvezza
Le reazioni. I vertici delle strutture interessate

Fonte: Il Sole 24 Ore

E’ iniziata la corsa a chiamarsi fuori dall’applicazione del famigerato «comma 24». Non è dato capire se per scaramanzia o perché gli addetti ai lavori sanno già dove tirerà il vento. È però un fatto che diversi enti interpellati ritengono di non avere nulla a che fare con il taglio del budget previsto dalla manovra. È il caso, ad esempio, di DigitPa (ex Cnipa, centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione). Secondo il direttore generale, Giorgio De Rita, «il contributo alle spese di funzionamento dell’attività istituzionale incide circa per il 58% del budget totale». Ma subito precisa: «Non rientriamo nel comma 24. Abbiamo subito un taglio lineare del 10%, sempre previsto dal Dl 78, ma non siamo tra gli enti che subiranno il taglio del 50% del contributo pubblico». Forse è per questo che giudica la riduzione del 10% come «un’opportunità». «Pensiamo di riuscire a rimodulare le spese – continua – e di trovare una migliore efficienza interna. Del resto non abbiamo molte alternative». Stesso ritornello all’Enav. Dall’Ente nazionale di assistenza al volo fanno sapere che l’unica parte del Dl 78 che tocca l’istituto è l’articolo 6 al comma 6 (riduzione del 10% dello stipendio per consiglieri e sindaci), ma non quello relativo al taglio del 50% del contributo agli enti vigilati dei ministeri, poiché l’Enav non compare nell’elenco redatto dall’Istat delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico (e individuate ai sensi dell’articolo 1, comma 5, della legge 311/2004). Altri organismi, come l’Enac, l’Istituto superiore di sanità e il Cnr, non avendo ancora ricevuto comunicazioni ufficiali dai ministeri di competenza, preferiscono invece non fare valutazioni. Sulla questione, infatti, regna la confusione, tra enti che non erano a conoscenza del taglio, enti che non fanno parte della categoria e qualcuno che semplicemente afferma: «È impossibile». Del resto per saperne di più bisognerà attendere i decreti con i quali ogni ministero dovrà ripartire i fondi rimasti. L’entità della tagliola, però, questa volta la si può capire facendo due conti in tasca agli istituti che potrebbero patire la scure finanziaria. A partire dal Consiglio nazionale delle ricerche. Il budget totale dell’ente per il 2009 è stato pari a 1.105 milioni di euro. Di questi, il contributo ordinario di funzionamento versato dal ministero per l’Università e la ricerca ammonta a 567,3 milioni di euro, quindi oltre il 50% dell’intero fondo. Questa somma serve alle spese basilari di funzionamento del Cnr, che senza non potrebbe andare avanti. Basti pensare che nel 2009, 875 milioni di euro sono serviti per il finanziamento della rete scientifica, e di questi, oltre 441 milioni sono relativi alla spesa per il personale di servizio. E tra gli enti vigilati dai ministeri ci sono anche alcune istituzioni culturali, come l’Accademia nazionale dei Lincei. L’ente, in mancanza di informazioni ufficiali, preferisce non commentare. Ma il presidente dell’Accademia, Lamberto Maffei, in occasione dell’apertura dell’anno accademico 2009-2010 aveva dichiarato: «Negli ultimi sette anni, le sovvenzioni statali si sono dimezzate, passando da 3 milioni 450mila euro nel 2003 a un milione e 700mila euro in quest’anno. L’accademia, pur con le sue limitate risorse, deve intervenire con oltre un milione di euro derivanti da associazioni, donazioni e dalla rendita di alcuni immobili». Che cosa succederebbe, dunque, se il contributo si dimezzasse ulteriormente? Soprattutto considerando che lo stesso Maffei, alla presenza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lo scorso giugno aveva chiesto con insistenza al ministero dei Beni culturali «che lo Stato provveda almeno alle spese per gli stipendi del personale a tempo indeterminato, mentre l’Accademia si impegna a provvedere a tutte le altre attività direttamente, anche con aiuti esterni».


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