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La giungla delle addizionali regionali: in busta paga prelievo dallo 0,9 all'1,4%
La classifica - Con i nuovi parametri nel Lazio si potranno pagare fino a circa mille euro in più all'anno per cittadino. Il Tesoro e la concorrenza fiscale

Fonte: Corriere della Sera

ROMA – Il governo assicura che non cambierà niente. Che il raddoppio delle addizionali Irpef concesso alle Regioni non si tradurrà in un aumento delle imposte pagate dai cittadini. E si dice pronto a rafforzare con un sistema articolato di garanzie per i contribuenti i paletti entro i quali i governatori delle Regioni potranno manovrare le tasse. L’ultima di queste clausole di salvaguardia è stata aggiunta al testo del decreto legislativo sull’autonomia fiscale delle Regioni proprio ieri mattina, nel corso del Consiglio dei ministri, e altre sono ancora allo studio del governo. «Pensiamo ad un vincolo. Noi non vogliamo aumentare la pressione fiscale, la vogliamo ridurre » dice il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, apparentemente disposto a rafforzare ulteriormente l’articolo 2 del decreto, che già dovrebbe proteggere i contribuenti dall’aumento delle addizionali. Nel momento in cui queste vengono aumentate, spiega Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica sul federalismo fiscale, «con lo stesso decreto sono ridotte le aliquote dell’Irpef di competenza statale, con l’obiettivo, c’è scritto esplicitamente nel decreto, di mantenere inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente». Tuttavia un meccanismo che garantisca a ciascun contribuente la neutralità fiscale dell’aumento delle addizionali regionali deve ancora essere definito. A conferma dell’incertezza sull’esito finale dell’operazione, i sindacati di Cisl e Uil hanno preferito comunque cautelarsi. Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti hanno chiesto ed ottenuto dal governo già in questa stesura del decreto che l’aumento delle addizionali regionali dall’ 1,4%, il livello massimo attuale, al 3% da qui al 2015 sia sterilizzato per i redditi più bassi. Nel testo del decreto, che dopo il parere parlamentare dovrà tornare a Palazzo Chigi per il via libera definitivo, si dice che l’aumento oltre l’1,4% «non deve comportare aggravio, sino ai primi due scaglioni di reddito, a carico dei titolari di redditi da lavoro dipendente o da pensione». L’aumento delle addizionali regionali Irpef rispetto ai livelli attuali, del resto, è quasi scontato. Quelle entrate, parliamo di 8-9 miliardi di euro, serviranno infatti alle Regioni per compensare un pari taglio dei trasferimenti che ricevono dallo Stato e che verranno cancellati. «Per evitare l’aumento delle addizionali ai propri cittadini – spiega Antonini – i governatori dovranno svolgere gli stessi servizi, pagati oggi dallo Stato, spendendo di meno. E il riferimento della spesa saranno i nuovi costi standard delle funzioni regionali, come la sanità e il trasporto pubblico locale, calcolati sulla media delle Regioni migliori. Lo Stato garantirà il finanziamento di quei costi, non più la spesa storica, che incorpora gli sprechi e le inefficienze. E non ci saranno più ripiani dei debiti da parte dello Stato». Finora i «buchi» come quelli della sanità sono stati pagati dalla fiscalità generale. Cioè da tutti, indistintamente, come i 12 miliardi di euro concessi dal governo Prodi nel 2006 per ripianare i debiti della sanità di cinque Regioni, che poi sono le stesse che ancora oggi sono costrette ai piani di rientro del deficit sanitario. Da domani ciascuno paga per sé, e per molti cittadini, soprattutto nel Centro Sud, non è certo una bella notizia. Potranno contare sulla compensazione con le minori tasse pagate allo Stato promessa dal governo, ma ad esempio non potranno mai godere, fintanto che la propria Regione non avrà riportato la sanità in equilibrio, delle detrazioni fiscali per i carichi familiari che i governatori con i conti a posto potranno aggiungere, finanziandole in proprio, a quelle dello Stato. In Lazio, Molise, Calabria e Campania, dove per coprire il dissesto sanitario l’addizionale Irpef è già al livello massimo dell’1,4% (anche in Sicilia e Abruzzo lo è), l’aumento al 3% è scontato. Per gli abitanti del Lazio, notoriamente i più tartassati d’Italia dalle tasse regionali, significherebbe in media circa mille euro di tasse in più all’anno pagate alla Regione. Già oggi pagano il doppio dei lombardi: 1.000 euro di addizionali Irpef su un reddito medio di 40 mila euro lordi annui, rispetto ai 440 euro pagati da un cittadino della Lombardia con un reddito identico. E per far fronte al buco nero della sanità del Lazio, senza poter più contare sul contributo dello Stato, l’aliquota dell’addizionale Irpef regionale pagata dai contribuenti, prendendo a riferimento gli studi della Corte dei Conti, dovrebbe rimanere al livello massimo del 3% per almeno altri quattordici anni, fino al 2028. La situazione non è molto diversa in Calabria e Campania, altre due regioni che come il Lazio sono già obbligate a tenere al massimo l’addizio-nale Irpef (per il 2010 anche Abruzzo, Molise e Sicilia) e dovranno aumentarle ancora. Qualche margine in più ce l’hanno le Regioni che sono riuscite finora a mantenere bassa o a ridurre l’aliquota dell’addizionale Irpef. Nel 2010 Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Sardegna, Toscana e Val d’Aosta, alle quali s’è aggiunta la Puglia, hanno potuto mantenere il livello minimo dello 0,9%. In Piemonte, Liguria, Lombardia, Marche e Umbria l’addizionale Irpef varia tra la 0,9 e l’1,4%, in funzione degli scaglioni di reddito. Mentre in Emilia Romagna il livello minimo è un po’ più alto, l’1,1%, e per i redditi più elevati arriva al massimo dell’1,4%. «In realtà, per come è stato congegnato, tutto il decreto per l’autonomia fiscale delle Regioni porta verso la direzione di una riduzione delle tasse», spiega Tremonti. Che punta ad una «sana concorrenza fiscale» tra le Regioni, offrendo al tempo stesso garanzie ai contribuenti. L’Irap, ad esempio, potrà essere ridotta dai governatori regionali anche fino al suo azzeramento, «ma solo se l’addizionale Irpef regionale non sia stata già aumentata» osserva Antonini. Che rimanda all’ultima clausola di salvaguardia aggiunta ieri dal governo. Il governo e le Regioni concorderanno anno per anno il livello massimo della pressione fiscale complessiva, e una Commissione verificherà il rispetto del limite. «Proponendo al Governo – dice Antonini – le eventuali misure correttive».


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