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A rischio i mini comuni promessi sposi
L'Italia dei campanili - Risparmi difficili

Fonte: Il Sole 24 Ore

Tocco di Casauria è il classico borgo del centro Italia, con le chiese, il castello, le carte e la politica nel bar del centro. Tocco, però, dalla provincia di Pescara è finito sulle pagine del New York Times, che l’ha definito «una boccata d’aria» per un’Italia «nota più per i cumuli d’immondizia che per l’impegno ambientale». Merito delle turbine a vento, come ricorda Legambiente che censisce le eccellenze del paese nella rassegna «Piccola grande Italia», che hanno trasformato il borgo abruzzese in un’avanguardia delle rinnovabili, dove si produce il 30% in più dell’energia che si consuma e il surplus si rivende alimentando le casse comunali (con i proventi è appena stata rifatta la scuola). Stessa musica a Maiolati Spontini (Ancona), dove è invece la gestione di una discarica che ha permesso al comune di diventare il più virtuoso d’Italia secondo le tabelle della ragioneria generale dello stato. Il quotidiano Usa avrebbe invece abbandonato la propria ironia sul “modello” italiano di trattamento dei rifiuti se il suo giornalista fosse andato a Capriglio, 314 abitanti nell’astigiano, dove si applica una raccolta porta a porta “spinta” che il sindaco è andato a studiare fino in Norvegia, e che permette di differenziare tutto e di conferire l’umido all’agricoltura biologica e di nicchia (il peperone di Capriglio sta per diventare un presidio slow food). Benvenuti nell’Italia dei piccoli comuni: chi vuole capirla, oltre all’autostrada, deve abbandonare preconcetti e stereotipi e aprire gli occhi su un mondo articolato, ricco soprattutto di problemi ma mai uguale a se stesso. Un mondo, forse, troppo complesso anche per chi deve fare leggi uguali per tutti, e nate nella fretta dei decretoni che sono ormai la sede abituale delle manovre. Per legge i piccoli comuni sono quelli con meno di 5mila abitanti: sono 5.693, il 70% del totale, e ospitano più di un italiano su quattro. La manovra correttiva ha deciso che costano troppo, e che per diventare più efficienti devono mettersi insieme e gestire i servizi in forma associata. Il principio è giusto, l’attuazione è complicata: mettersi insieme per fare cosa? In mancanza di meglio, il decreto ha preso un elenco provvisorio di funzioni fondamentali nato in un contesto finanziario – cioè la legge delega sul federalismo fiscale – e l’ha riproposto pari pari per la nuova regola. I comuni, secondo questa norma, dovrebbero unire le forze per gestire fra l’altro il settore sociale, gli asili nido e le «funzioni generali di amministrazione nella misura complessiva del 70% della spesa». «Che cosa vuol dire? – si domanda Dimitri Tasso, vicesindaco di Montiglio Monferrato e coordinatore per l’Anci delle Unioni di comuni – Come si fa a sposarsi e decidere di mettere insieme il 70% del patrimonio? E il resto chi lo gestisce? Per ora nessuno è stato in grado di spiegarcelo; è solo un esempio, ma mostra bene che con leggi così non si va lontano». Il compito di tradurre in pratica quest’obbligo, e di farlo dialogare con le competenze regionali citate dalla norma secondo uno schema piuttosto oscuro, spetterebbe al classico decreto attuativo, di cui per ora tuttavia non si vede traccia. «Se non si interverrà a concertare seriamente con noi almeno modalità di attuazione della norma, contenuti, tempi e ambiti, alla fine – riassume Mauro Guerra, che nell’associazione dei sindaci ha la delega ai piccoli comuni – sarà un disastro o una burla gigantesca. Da anni giro l’Italia per spiegare che i piccoli comuni devono associarsi, ma per farlo davvero e bene occorrono norme chiare e percorsi sostenibili. Gli editti confusi rischiano di distruggere anche quel che si è fatto di buono fino ad oggi» Sul fatto che la gestione associata sia la via migliore per tenere in vita i piccoli anche domani, i dubbiosi sono del resto sempre meno. In Piemonte, dove i mini-comuni sono 1.072 su 1.206, unioni e associazioni sono ormai una realtà consolidata. «Senza l’Unione – racconta per esempio Francesco Marengo, sindaco di Castagnole Monferrato dal 2002 e presidente dell’Unione Colli Divini – non avremmo potuto attivare lo sportello unico per le attività produttive, la gestione sovra comunale del territorio, il servizio di trasporto degli anziani alle visite mediche o il trasporto scolastico». Allora, qual è il problema? «Il fatto – spiega – è che le cose vanno fatte con criterio. Adesso la norma ci chiede di unire, per esempio, l’ufficio tecnico o l’anagrafe, ma questo significa spostare i dipendenti, creando dei doppioni inutili perché un ufficio con 9 ragionieri, tanti quanti sono i comuni dell’unione, non serve a nulla. I costi, almeno all’inizio, rischiano di essere più alti, perché per spostare gente che lavora in comune da 30 anni ci vuole qualche incentivo, e il servizio peggiore, perché non sarebbe possibile tenere aperto il comune di Castagnole per sei giorni la settimana come facciamo ora». «Per vivere bisogna associarsi – ragiona Giovanni Barberis, sindaco di Capriglio e presidente dell’Unione collinare alto astigiano -, e mi va bene anche l’obbligo, purché sia intelligente. L’elenco delle funzioni, però, non ha senso, ed è fatto da chi non conosce la nostra realtà. Il mio comune, per esempio, ha un solo dipendente: come faccio a rispettare le regole?». Già, il personale è l’altro rebus generato dalla manovra correttiva, che chiede agli enti pubblici di non assumere più di un quinto dei dipendenti andati in pensione l’anno precedente. Dove i dipendenti sono fino a cinque, però, la regola è matematicamente inattuabile senza chiudere il comune per mancanza di protagonisti, e anche dove il personale è un po’ più numeroso il limite del 20% è una tegola che rischia di paralizzare l’amministrazione. «Sono vincoli da eliminare – ragiona Massimo Tegner, assessore ai lavori pubblici a Sospirolo, 3.200 abitanti in provincia di Belluno – per sostituirli con un tetto di spesa intelligente, magari svincolato dalla spesa storica. Teniamo in considerazione che spesso il personale fa nel piccolo comune una sorta di praticantato, e poi si sposta su realtà più grandi che offrono maggiori opportunità di carriera».


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