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Comuni e province a saldo zero
Bilanci - La base di calcolo fondata sulla spesa corrente dovrebbe superrare i problemi del passato

Fonte: Il Sole 24 Ore

Ennesima, e forse definitiva, rivoluzione in tema di patto per gli enti locali. La nuova regola che sarà inserita nella legge di stabilità (la nuova finanziaria, come previsto dalla legge 196/2009) rappresenta il punto di arrivo di un lungo percorso che ha visti impegnati i tecnici del ministero dell’Economia e i rappresentanti dell’Associazione nazionale comuni italiani e dell’Unione delle province d’Italia. Il cambiamento, in attesa di leggere il testo ufficiale, sembra davvero, per certi versi, storico: sparisce la base di calcolo su cui determinare l’importo della manovra a carico di ciascun ente e dalla quale partire per definire il saldo programmatico; il meccanismo della competenza mista (ultimo “baluardo” resistito) torna a essere integrale, senza le esclusioni fino a oggi conosciute (alienazioni). Ma, soprattutto, in vista del federalismo fiscale ormai lanciato in dirittura d’arrivo con i decreti delegati su costi standard, autonomia fiscale e armonizzazione bilanci, la vera novità è data dall’introduzione di una regola stabile nel tempo: il saldo strutturale per comuni e province deve essere il pareggio (saldo zero). Visto in prospettiva, ossia con la piena attuazione dell’autonomia finanziaria e quindi del federalismo, gli enti possono programmare i loro bilanci avendo certezza delle risorse da un lato, e del pareggio di bilancio, dall’altro. Una regola di bilancio assolutamente in linea con quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, della legge 196/2009 e dall’articolo 12 della legge 42/2009 (legge delega in tema di federalismo fiscale). Se, dunque, in prospettiva, sindaci e presidenti possono contare su un saldo strutturale da rispettare nel tempo (pur gravoso, visto che è l’unico comparto a cui si impone il pareggio di bilancio), per il prossimo triennio devono fare i conti con il doppio effetto prodotto dal decreto legge 112/2008 e il decreto legge 78/2010. Per limitarci al 2011, i comuni subiscono una manovra vicina ai 4,5 miliardi di euro, mentre per le province il conto presentato è pari a circa 1 miliardo di euro. Come anticipato su queste pagine (si veda il Sole 24 Ore del 2 ottobre) la manovra si distribuisce tra un taglio (proporzionale) dei trasferimenti erariali per un importo di 1,5 miliardi (per le province 300 milioni) e 3 miliardi circa come obiettivo sul patto di stabilità (per le province 700 milioni). Tradotto in effetti pratici sul bilancio degli enti locali, significa che tutti dovranno rispettare un saldo programmatico positivo, calcolato in termini di competenza mista, determinato, in termini assoluti, da un importo che scaturisce dall’applicazione di una percentuale sulla spesa corrente. È questo, infatti, l’aggregato “nominato”: la spesa corrente media impegnata nel triennio 2006/2008. Come ogni parametro utilizzato per la redistribuzione di un’entità, anche la spesa corrente rappresenta pregi e difetti. Tra i primi, sono senza dubbio da annoverare la stabilità nel tempo e l’omogeneità all’interno del comparto, eccezion fatta per il fenomeno delle esternalizzazioni, che rappresenta il vero difetto di questo aggregato come guida per definire il saldo. Rispetto alla normativa vigente (base 2007 su cui applicare i diversi coefficienti definiti dal Dl 112/2008), l’attuale ipotesi, probabilmente redistribuisce meglio la manovra, ma creerà notevoli differenze rispetto a oggi, con difficoltà per tutti coloro che avevano impostate politiche di bilancio in linea con quanto disposto dal Dl 112 e si vedono, ora, inasprita la manovra.


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