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Rischio incentivi sulle rinnovabili
Energia - I costi per la collettività

MODENA – Di incentivi si nasce e si muore». Alberto Clò, esperto di energia oltre che ex ministro dell’Industria, non usa mezzi termini per illustrare agli industriali di Modena i rischi impliciti della politica di sussidi per le fonti di energia rinnovabili e «gli aumenti già decisi» dei prezzi dell’energia: «100 miliardi entro il 2030» che finiranno nelle bollette. «Una batosta che non potrà essere controbilanciata dalle illusioni concorrenziali né tantomeno dalla chimera del nucleare, difficilmente valutabile nei costi e comunque proiettabile in un orizzonte di lunghissimo periodo». L’occasione è un convegno dei giovani imprenditori per discutere di strategie ambientali ed energetiche nel contesto economico del dopo-crisi. Una posizione netta, quella di Clò, che trova sostanzialmente d’accordo (eccetto che sul nucleare) buona parte degli imprenditori presenti e tutti preoccupati dell’aumento dei costi dell’energia. «Il rischio è di passare dall’ingordigia alla fame» ha sintetizzato Sonia Bonfiglioli, presidente della Bonfiglioli Riduttori, con lunga esperienza diretta in Spagna, nell’eolico e nel fotovoltaico. «Gli incentivi servono ma vanno equilibrati perché ci sono tante aziende serie ma anche speculatori. In Spagna c’era chi installava pannelli fotovoltaici di cartone o utilizzava generatori per immettere energia nella rete. Finiti gli incentivi è finito tutto». L’Italia, ha ricordato Aldo Fumagalli, presidente della commissione sviluppo sostenibile di Confindustria, «ha gli incentivi più alti d’Europa. In qualche caso bisognerà ridurli, anche in maniera drastica». La spesa annua è di circa otto miliardi all’anno, ha ricordato Fumagalli riprendendo le cifre del rapporto del Rie (Ricerche industriali ed energetiche) punto di partenza del confronto. «Le fonti rinnovabili possono essere motore di sviluppo solo se gli incentivi si riducono nel tempo – ha aggiunto – perché soltanto se si riducono stimolano a migliorare l’efficienza e quindi a ridurre i costi». Invece «la forte crescita delle rinnovabili genererà due effetti perniciosi. Scaricherà sulle bollette elettriche sette miliardi di euro l’anno e acuirà l’eccesso di potenza elettrica a livelli superiori di oltre due volte la domanda di punta». «Occorre trovare un equilibrio tra le varie spinte legate all’emotività» ha affermato Maurizio Tironi, presidente di Tironi power transformer. «Servirebbe un ministro dell’energia, tecnico e non politico, con il compito di calcolare come un ragioniere se davvero vale la pena dare l’incentivo per la bici elettrica o se il paese ha bisogno di altro». Fumagalli ha annunciato anche una “offensiva” di comunicazione, partendo dagli europarlamentari italiani per far capire che gli obiettivi di riduzione delle emissioni che l’Unione europea sta pensando di darsi (elevando la riduzione dal 20 al 34% entro il 2020 rispetto al 1990) «sono semplicemente impraticabili, soprattutto se il resto del mondo va da tutt’altra parte». A differenza di Clò, Fumagalli crede nel nucleare: «È una grande occasione per l’Italia. Muoverà le risorse migliori del Paese». Dello stesso avviso è Federica Guidi, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria. «La politica energetica nazionale deve perseguire un mix di fonti bilanciato, nucleare incluso».


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