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Redditi immobiliari, è l'ora dei comuni
Dal 2011 il passaggio del gettito dell'Irpef e il 30% delle imposte sugli atti di trasferimento

Il nuovo decreto sul federalismo municipale, approvato dal parlamento con una procedura anomala, modifica le competenze fiscali tra stato ed enti locali, con un primo step dal 2011, e poi a regime a decorrere dal 2014, con l’introduzione, in sostituzione di tributi vigenti, dell’imposta municipale (Imu). Intanto, in un colpo solo, dal 2011 vengono attribuiti ai comuni: 1. il gettito dell’Irpef sui redditi immobiliari e quello relativo alle imposte di registro e bollo sui contratti di locazione immobiliare; 2. il 30% del gettito delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sugli atti di trasferimento immobiliare; 3. una quota del 21,7% nel 2011 e al 21,6% dal 2012, del gettito della cedolare secca sugli affitti. Le risorse saranno gestite fino al 2014 da un Fondo sperimentale di riequilibrio, di durata triennale, ripartito dalla Conferenza stato-città in base al numero dei residenti, alla dimensione dei comuni, alle funzioni svolte. Quanto alla cedolare secca sugli affitti, i proprietari di immobili concessi in locazione potranno optare dal 2011, in luogo dell’ordinaria tassazione Irpef sui redditi dalla locazione, per un regime sostitutivo che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti, le cui aliquote sono pari al 21% per i contratti a canone libero ed al 19% per quelli a canone concordato. La cedolare secca sugli affitti darà un gettito tra i 3,4 e i 4,2 miliardi nei primi tre anni di introduzione. E una parte del gettito viene stimata in base a un deciso recupero dell’evasione per gli affitti in nero: questo darà 600 milioni nel 2011, un miliardo nel 2012 e 1,4 miliardi nel 2013. Non basta: ai comuni invece dell’Irpef, spetterà anche una quota del gettito Iva, sulla base del gettito per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun ente locale. Il decreto ha previsto anche sanzioni amministrative per l’inadempimento degli obblighi di dichiarazione concernenti gli immobili. E ai comuni che recuperano gettito evaso, è assegnata una quota pari al 50% del gettito derivante dalla loro attività di accertamento. Saranno inoltre modificate le aliquote di tassazione delle transazioni immobiliari: 2% nel caso di prima casa di abitazione e 9% nelle altre ipotesi (oggi sono 3% ed 10%). I sindaci avranno inoltre la possibilità di aumentare l’addizionale Irpef entro il limite massimo dello 0,4%. È stata reintrodotta l’imposta di soggiorno, mentre si rivede l’imposta di scopo, finalizzata a opere infrastrutturali urgenti. L’imposta di soggiorno è applicabile soltanto nei comuni capoluogo di provincia e nelle città turistiche e d’arte con importo fino a 5 euro per notte a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive, con destinazione del relativo gettito ad alcune specifiche finalità, tra cui quelle a favore del turismo. L’elemento oggi più interessante, ma assieme confuso del nuovo sistema municipale risiede invece in una imposta, l’Imu secondaria, che i sindaci potranno varare in sostituzione degli attuali prelievi sull’occupazione del suolo pubblico, su insegne commerciali e pubblicità sulla pubblica via. Una razionalizzazione interessante, relativa a un gettito di alcuni miliardi di euro, che potrebbe determinare risparmi su aggi esattoriali, costi di organizzazione interna e costi di contabilità, favorendo altresì l’eliminazione del vasto contenzioso amministrativo pendente. I contribuenti, a parità di onere fiscale avrebbero un risparmio di tempi e costi di gestione, oltre all’eliminazione di alcuni milioni di operazioni su atti cartacei e versamenti periodici. Le correzioni apportate dal parlamento hanno risolto alcuni problemi, ma andranno definiti i parametri unitari di queste imposte. Scatta infine dal 2014 l’imposta municipale (Imu) in sostituzione, per la componente immobiliare, dell’Irpef (e relative addizionali) e dell’Ici. Nel complesso l’Imu dovrà sostituire imposte per un ammontare totale di circa 11,5 miliardi. Secondo le stime della Ragioneria complessivamente il gettito Irpef e delle addizionali che sarà assorbito dall’Imu è pari a un miliardo e 650 milioni di euro ai quali vanno aggiunti quasi 10 miliardi di gettito Ici. Saranno tassate solo le case diverse dall’abitazione principale, con aliquota dello 0,76%, ridotta alla metà per gli immobili locati, con la facoltà per i comuni di estendere in tutto o in parte tale riduzione anche agli immobili posseduti da soggetti cui si applichi l’imposta sul reddito delle società (Ires). Tuttavia i comuni possono modificare l’aliquota di 0,3 punti percentuali, in aumento o in riduzione (la modificabilità è invece fino a 0,2 punti nel caso della aliquota ridotta alla metà per gli immobili locati). Saranno esenti dall’Imu gli immobili posseduti dalle amministrazioni pubbliche, nonché alcune categorie di immobili già esentati ai sensi della normativa dell’Ici (fabbricati destinati ad usi culturali, all’esercizio del culto, utilizzati dalle società non profit). © Riproduzione riservata Decreti attuativi, una corsa a ostacoli La legge delega sul federalismo contiene una ventina di deleghe. Di queste solo quattro sono state finora attuate. I decreti attualmente all’esame delle camere sono quattro, mentre per le altre il governo deve ancora varare i decreti attuativi: fondi perequativi, perequazione infrastrutturale, interventi speciali, livelli essenziali delle prestazioni nei settori che ancora non li hanno, l’armonizzazione dei bilanci. Ogni decreto rimanda ad ulteriori decreti correttivi, dpcm, regolamenti e altri atti attuativi. Nel decreto sul federalismo municipale per esempio, si annunciano altri tre decreti (riforma Tarsu-Tia, addizionale Irpef, fondo perequativo) e due regolamenti (sui contributi di scopo). Di più, la quota del gettito Iva assegnata ai comuni dovrà essere determinata con apposito dpcm «in misura finanziariamente equivalente alla compartecipazione del 2% al gettito dell’Irpef». I criteri di attribuzione del gettito ad ognuno degli otto mila comuni italiani dovranno essere stabiliti con dpcm, che dovrà assumere a riferimento il territorio su cui si è determinato il consumo che ha dato luogo al versamento dell’imposta. Non basta. Il decreto attribuisce una quota del gettito Iva, sulla base del gettito riscosso per provincia, suddiviso per il numero degli abitanti di ciascun ente locale. Qui servirà un altro provvedimento per stabilire l’assegnazione territoriale del gettito, che finora ha bloccato tutti i progetti sul tema. L’esigenza di garantire ai sindaci che la sostituzione dell’Irpef con l’Iva non produca una perdita di entrate complessive ha indotto il legislatore a utilizzare una formula bizantina: i contributi locali su base Iva dovranno «essere equivalenti» a quelli che si sarebbero avuti con la compartecipazione all’imposta sui redditi. Quindi servirà un ulteriore decreto ogni anno, perché il riferimento rimane l’Irpef, e l’aliquota dell’Iva assegnata ai sindaci deve cambiare ogni anno in base alla dinamica dell’imposta sui redditi. Un sistema a dir poco complicato, che rischia di aprire nuovi contenziosi, visto che in ballo ci sono i bilanci di otto mila comuni, e ad alcuni la ridefinizione delle risorse potrebbe non andare bene. L’incertezza sulla distribuzione delle risorse non è limitata all’Iva. Servirà un altro decreto attuativo per le province, per le quali è prevista una compartecipazione all’Irpef, in quanto la compartecipazione al gettito dell’accisa sulla benzina non era sufficiente a compensare l’addio ai trasferimenti. Sulle modalità di distribuzione la partita è tutta da giocare. Intanto si è aperto un nuovo fronte, per il 2011. Enti locali e Anci chiedono un decreto con una «clausola di salvaguardia» che garantisca ai comuni per tutto il periodo transitorio un livello di entrate almeno pari al 2010, prima dei tagli; ma anche altre basi imponibili, come una compartecipazione all’Irpef come quella ottenuta dalle province, oppure una service tax. Ma difficilmente Tremonti darà il via libera prima della manovra finanziaria del 2012. Ce la farà il governo a varare tutti i decreti entro il 24 maggio 2012, termine massimo stabilito dalla legge 42 del 2010 per l’attuazione delle deleghe? È una scommessa aperta.


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