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Il fisco federalista avvia una partita da 80 miliardi l'anno
Dopo il decreto sui comuni - Il calendario sulle imposte locali

Finalmente si parla davvero di fisco. Con il decreto sull’autonomia comunale arriva al traguardo il primo dei pilastri del federalismo fiscale, che finora aveva portato all’approvazione solo provvedimenti meno cruciali – Roma capitale e demanio – o destinati ad avere effetti futuribili come i fabbisogni standard di comuni e province. Il decreto approvato giovedì scorso dal consiglio dei ministri, invece, va al cuore del problema e getta le basi di un’architettura tributaria che – nella sua estensione massima (cioè con tutte le addizionali applicate al livello più alto) – potrà muovere in regioni, province e comuni 80 miliardi all’anno: insieme ai 68 miliardi di compartecipazioni (si veda Il Sole 24 Ore del 28 febbraio), la partita federalista arriva a ridisegnare la sorte di 150 miliardi di soldi pubblici ogni anno. Non si tratta, ovviamente, di tasse tutte nuove che si aggiungono al prelievo esistente. Il mix di vecchio e nuovo cambia voce per voce, così come cambiano tempi e modalità applicative dei futuri protagonisti del fisco locale. Il debutto concreto del federalismo porta con sé anche i suoi aspetti meno piacevoli, cioè lo sblocco parziale dell’addizionale Irpef e l’introduzione dell’imposta di soggiorno. In entrambi i casi saranno disciplinate da un decreto dell’Economia, da scrivere entro due mesi insieme agli enti territoriali. Visti i numeri ballerini che caratterizzavano la maggioranza di governo fino a qualche settimana fa, però, i sindaci sono riusciti a ottenere un automatismo che permetterà loro di applicare le imposte anche senza regolamento. L’addizionale Irpef per ora potrà alzarsi – al massimo del 2 per mille – in poco più di 3.500 comuni, quelli che oggi chiedono un’aliquota inferiore al 4 per mille; e in ogni caso non potranno superare questo tetto. Per gli altri rimane tutto com’è fino al 2014, quando l’Irpef dei sindaci sarà “scongelata” tutta. L’imposta di scopo è destinata invece a ritentare la sorte nel 2012, perché il regolamento applicativo va scritto entro ottobre 2011, troppo tardi per applicarla quest’anno. Potrà durare 10 anni e finanziare integralmente le opere, ma andrà chiarito come applicarla all’Imu quando, dal 2014, l’Ici andrà in pensione. Nel 2012 comincia a sbloccarsi anche l’addizionale Irpef regionale che, una volta rivista la componente base che va alle regioni a scapito del prelievo statale, lascerà ai governatori la possibilità di ritoccarla del 5 per mille (fino al 21 per mille nel 2014). Salvi dai rincari, nel testo attuale, solo i primi due scaglioni di reddito, e solo per lavoratori dipendenti e pensionati. Per gli autonomi l’addizionale sarà libera, ma uno dei temi caldi nell’analisi del decreto in bicamerale sarà senza dubbio sulle modalità per provare a far convivere l’autonomia delle regioni e l’esigenza di non aumentare la pressione fiscale. Nel 2013 l’autonomia regionale acquisterà un tassello ulteriore, con la possibilità di istituire nuovi tributi territoriali su basi imponibili ignorate dal fisco statale; da quella data i governatori potranno anche intervenire a disciplinare in modo flessibile tributi locali (non fissati da leggi nazionali), che gli enti applicheranno con scelte autonome. Il 2014 è l’anno del traguardo e della nascita dell’Imu, che con il nuovo sistema è destinata a favorire i privati e punire le imprese: a meno che il dibattito porti a correggere questo effetto collaterale, magari sfruttando i tempi supplementari offerti dalla legge delega.


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