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Federalismo a due velocità
Autonomie - Confindustria spinge sui tempi della riforma e chiede un'applicazione differenziata nelle regioni del Nord

Con la stagione dei decreti attuativi previsti dalla legge 42/2009 ancora da compiersi ci si dovrebbe porre delle domande circa il “se” prima ancora del “quando”. Invece Confindustria Veneto e Confindustria Vicenza, insieme a Confindustria Lombardia, hanno deciso di organizzare l’incontro “Federalismo, avanti chi può” per parlare del “quando” si farà il federalismo e non del “se”, perché siano assolutamente convinti che la riforma si farà a prescindere. Il processo di riorganizzazione delle finanze locali su basi affrancate dalla finanza derivata e dal principio della spesa storica è infatti ineludibile. Quando ci si ammala, o ci si cura o si muore; in questo caso la malattia si chiama taxation without representation o “spesa irresponsabile” che ha raggiunto il 52,5% del Pil e il cui effetto è il “debito pubblico” (che veleggia verso il 120% del Pil) e la cui unica cura si chiama “federalismo responsabile”. Ma perché fino a ieri non si parlava affatto di federalismo e oggi il tema è al centro dell’agenda politica e mediatica? Perché quello che è stato nascosto, sottaciuto, tollerato sino a ieri, oggi si è manifestato ed è percepito in maniera diversa. Innanzitutto, c’è una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica che le quattro grandi regioni a statuto ordinario del Nord in questi decenni di finanza derivata dissennata hanno pagato un prezzo altissimo. C’è poi anche una maggior consapevolezza del fallimento del modello centralista: in 150 anni il reddito medio pro-capite del Sud è passato da essere l’85% di quello del Centro-Nord all’epoca dell’Unità d’Italia al 55%, dopo che sono stati trasferiti fiumi di quattrini a beneficio evidentemente di pochi e per tramite di una classe dirigente irresponsabile. Infine, la crisi del 2008 per la prima volta nel dopoguerra ha fatto diminuire la ricchezza e le sicurezze di quei cittadini che maggiormente concorrono alla formazione del reddito nazionale e ha di conseguenza accresciuto il desiderio di giustizia sociale e fiscale. Il decentramento non è un fenomeno nuovo; anzi, da sempre la storia oscilla tra centro e periferia. Pensiamo a quello che è successo in epoca storica proprio in Italia, dove ha prosperato per mille anni un impero con al centro Roma per poi vivere un’epoca di decadenza morale ed economica in cui il conservatorismo è prevalso sullo spirito e sui valori originari. In quegli anni bui, nella società non contava più il merito, il coraggio, l’abnegazione e l’ascensore sociale si era bloccato. Nel Medioevo, contrariamente all’età imperiale, si era condannati a essere quello che si nasceva, in similitudine con quella società di “relazioni” della quale ci lamentiamo oggi. Nel Medioevo si viveva delle ricchezze ereditate dal passato (ponti, strade, acquedotti, anfiteatri, ecc.) che i prìncipi “concedevano” ai vari vassalli per imporre dazi e diritti di passo: il capitale veniva sfruttato e non costruito. Una delle spie dei periodi di decadenza e debolezza del potere centrale è infatti la mancanza di forza creativa: non si innova, si sfrutta semplicemente quello che c’è. E infatti il Rinascimento altro non è stato che la presa di coscienza da parte della periferia della propria immensa forza data dalla capacità di innovare, dalle arti e mestieri che ha imparato a esercitare e che poco senso ha fare intermediare dal centro. La storia dell’Italia delle autonomie va avanti così per secoli sino a quando il modello decentrato a sua volta manifesta patologie, finché si arriva al Risorgimento dove torna a prevalere il centralismo. Centocinquanta anni dopo però ci troviamo di nuovo in una situazione che sa di “basso impero”. La cura non potrà che essere la stessa, il decentramento, e l’attenzione va spostata quindi sui “tempi”. Perché con un debito pubblico a livelli insostenibili è pacifico che prima di toccare la spesa centrale o quella per l’assistenza, le amministrazioni locali rischiano di rimanere vittime di tagli lineari veri e forzatamente indiscriminati. È partita pertanto una vera e propria gara per guadagnare il più in fretta possibile autonomia impositiva, affrancandosi dalla pericolosa intermediazione fatta dal centro. Una gara che ha come premio per i territori amministrati bene la possibilità di mantenere gli attuali livelli di assistenza e servizi e, per quelli amministrati male, la possibilità finalmente di emanciparsi da un vissuto morboso con opportunità di miglioramento della qualità della vita che neppure ci immaginiamo.


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