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L'importante è prendere una decisione
Nucleare

L’ora della «moratoria» è puntualmente arrivata. È stata subito nell’aria, un minuto dopo che il disastro provocato dal terremoto in Giappone ha aperto la falla della centrale nucleare di Fukushima. Ha preso a soffiare forte non appena Germania, Belgio, Gran Bretagna, Francia e Svizzera hanno spostato il piede sul freno ai progetti nucleari. Si è concretizzata infine ieri, con l’annuncio ufficiale del ministro Paolo Romani: per un anno – tranne l’individuazione dei depositi per le scorie radioattive – non si prenderanno decisioni sull’attivazione dei siti delle centrali nucleari in Italia. Poteva essere altrimenti? No.La nube di Fukushima ha risvegliato la memoria del mondo intero su quello che accade a Cernobyl nel 1986. Piaccia o non piaccia, anche l’opinione pubblica più “nuclearista” (in Francia, alle nostre porte, sono attivi ben 58 impianti nucleari, noi abbiamo rinunciato dal 1987 a battere questa strada) si è di nuovo posta il problema della sicurezza. E decidendo i governi la chiusura delle centrali più vecchie e di sottoporre a uno stress test tutte le altre, la corsa verso questa fonte energetica ha rallentato. Ma per l’Italia c’è di più. Il governo Berlusconi aveva provato di nuovo a giocare la carta del nucleare. Nulla che fosse a portata di mano, visto che per costruire le centrali occorrono molti anni (e molti soldi pubblici). E niente di più difficile nel paese dove il contenzioso istituzionale (pensiamo all’opposizione di molte regioni e comuni) finisce un giorno sì e uno no di fronte alla Corte costituzionale. Il destino ha però voluto che il disastro giapponese, sul quale poi è planata la crisi libica, accrescendo le incognite proprio sul terreno dell’energia ed evidenziando una confusa reattività del governo, si manifestasse proprio nei giorni in cui la legge sulle centrali nucleari era in discussione in Parlamento. E gli eventi internazionali sono giunti appena dopo le contestate modifiche alle incentivazioni per il fotovoltaico, che hanno cambiato in corso d’opera le regole. Colpendo quelle energie rinnovabili su cui ancora ieri si è appuntata l’attenzione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Risultato. Un po’ per l’ondata emozionale, un po’ per l’avvitarsi di polemiche strumentali (stiamo parlando della costruzione di centrali infinitamente più sicure di quella di Fukushima), un po’ perché in Italia l’arte del rinvio è praticata con successo da secoli (chi non ricorda Quinto Fabio Massimo il «temporeggiatore»?), ecco la «moratoria». Che significa prendere tempo, guadagnare un anno e magari scavallare un referendum promosso dal comitato per il «no» al nucleare che si annuncia più che insidioso. Affermando, nel frattempo, che il piano resta ma che a decidere saranno poi le regioni, visto che anche quelle governate dal centrodestra (il Veneto, ad esempio) si sono prontamente schierate per il «no». Intendiamoci. Una pausa di riflessione può starci, perché decidere il futuro sull’onda di un’emozione non appare la soluzione più logica ed opportuna. Quello da evitare con il massimo della cura e del rigore è la soluzione pasticciata, un sì che si traveste in un nì, il “tutto va avanti come prima” che diventa col passare dei giorni un sì condizionato e da qui scolora, di fatto, in un “ne riparleremo” tra un anno. Un paese come l’Italia che per il suo fabbisogno energetico dipende per l’80% dall’estero non può permettersi di non avere una rotta chiara. Sul nucleare ha già peccato per aver ceduto agli ideologismi e quando ha scelto di battere la strada del fotovoltaico (ma le rinnovabili non potranno sostituire le centrali tradizionali) lo ha fatto prima creando le condizioni per una colossale bolla speculativa e poi, dopo aver difettato nella vigilanza, mettendo in ginocchio da un’ora all’altra un intero settore. Sul petrolio possiamo dire poco, se non sperare di gestire al meglio la crisi libica (nel 2010 abbiamo importato 18 milioni di tonnellate) e prendere atto di ciò che ha detto il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi: un aumento stabile del 20% del prezzo dell’oro nero vuol dire mezzo punto in meno di crescita in tre anni. Oltre, ovviamente, bollette più salate per i consumatori e per le imprese. Il problema vero è che sui temi fondamentali dell’energia in Italia i governi (di ogni colore) hanno sempre deciso di non scegliere e l’assenza pluriennale di un piano energetico degno di questo nome lo testimonia senza ombra di smentita. Si è lasciato fare, e non per eccesso di liberalità e per contrasto antidirigista, nell’ipotesi che il sistema, per così dire, si sistemasse da solo. Evitando le scelte impopolari e occhieggiando di volta in volta a tutte le soluzioni. Ecco perché «moratoria», in Italia, è una parola che suona male anche quando può essere considerata opportuna.


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