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A Firenze il record di nomadi
Politiche sociali - Tra città e provincia sono 2.750, più che in tutta l'Emilia Romagna

In Toscana si concentra la maggior parte della popolazione nomade del Centro-Nord. I numeri ufficiali parlano di 2.750 tra rom e sinti, con la comunità più popolosa che vive a Firenze e provincia. Cifre che in Emilia-Romagna si fermano poco sotto le 2mila persone, anche se il dato – sottolineano dalla regione – è in crescita. Il fenomeno è invece poco diffuso in Umbria e nelle Marche, dove le presenze raggiungono poche centinaia di unità. In Toscana tutto il territorio regionale, tranne Arezzo e Siena, è interessato dalla presenza stabile di rom provenienti da Kosovo, Macedonia, Serbia, Bosnia, Romania, di rom istriani (con cittadinanza italiana) e di sinti (cittadini italiani). Proprio questi ultimi costituiscono la maggioranza, mentre per l’area balcanica si tratta soprattutto di macedoni, seguiti dai kosovari e dai bosniaci. La maggior parte delle persone (1.233) vive ancora nei campi (12 quelli autorizzati). Dagli anni Novanta, a seguito della politica di superamento di questo tipo di aree, sono stati costruiti anche quattro villaggi dove vivono 493 persone. Altri 403 individui sostano in aree di proprietà (21) così come ci sono 64 persone in un’area di passaggio (un ex camping) a Pisa. Infine, 557 persone di nazionalità rumena vivono in sei insediamenti abusivi. Firenze e provincia sono le aree più popolate. Nel capoluogo di regione, tra la zona del Poderaccio e quella all’Olmatello vivono in 480, soprattutto di etnia macedone e kosovara. Il comune spende circa 450mila euro l’anno in interventi sociali di integrazione. «Educatori e mediatori lavorano insieme nei campi per migliorare l’integrazione di queste popolazioni e i risultati finora si sono dimostrati buoni», dice Alessandro Salvi, dirigente del servizio Marginalità e inclusione sociale del comune. Altra area dove i numeri delle presenze sono importanti è quella di Pisa. Qui più di 500 persone si sono inserite in abitazioni grazie a un progetto comunale ed è allo studio un altro programma che si propone di essere un esempio di politica dell’integrazione per tutta la regione (si veda l’altro articolo in pagina). In Emilia-Romagna i dati delle rilevazioni regionali risalgono al 2006. Da allora «i numeri sono cresciuti ma di poco, anche perché in regione c’è un tipo di presenza stanziale» spiega Daniela Salvador del servizio Politiche per l’accoglienza e l’integrazione sociale di viale Aldo Moro. Si tratta di 1.883 persone distribuite principalmente a Reggio, Bologna e Modena. Dai dati emerge che gli spostamenti delle popolazioni rom e sinte sono un fenomeno abbastanza limitato in regione: l’80,3% dei nomadi vive nel campo tutto l’anno. La comunità più diffusa è quella dei sinti (84,1%), seguita da quella rom (14,9%) e da una piccola percentuale (1,1%) di persone che non hanno origine nomade. I sinti sono presenti nelle province di Reggio Emilia, Modena, Bologna, Piacenza, Ferrara, Rimini e Ravenna; i rom invece sono presenti in tutte le province, a esclusione di Piacenza e Ravenna. Per quanto riguarda la spesa delle amministrazioni per il mantenimento delle strutture e le politiche di integrazione nei comuni dove la presenza di queste popolazioni è maggiore, a Reggio, per le tre aree di sosta dove risiedono 320 persone, il comune ha speso 49mila euro per la manutenzione e quasi 153mila per le utenze (nel 2009). Sempre nel 2009 a Bologna sono stati spesi 431 mila euro per il mantenimento dei tre campi nomadi, dove vivono 244 persone. A Modena, dove vivono 350 sinti e 30 rom, è stato fatto l’investimento maggiore: «Nel 2007, dopo la chiusura dell’ultimo campo, abbiamo sistemato le persone in 16 microaree e abbiamo speso un milione di euro tra fondi nostri e regionali», spiega l’assessore alle Politiche sociali Francesca Maletti. Diversa la situazione nelle Marche, zona di passaggio dove non ci sono stanziamenti stabili, soprattutto dopo la chiusura dei campi di Fano e Falconara. «La consistenza è inferiore a un centinaio di persone in tutto il territorio regionale» spiega Susanna Piscitelli, responsabile del servizio Inclusione sociale della regione. «La comunità che originariamente proveniva dall’Abruzzo è ormai residente e non più considerata nomade», conclude. Anche in Umbria «ci sono pochissime famiglie rom e nomadi, poche decine di unità in tutta la regione» dice Eleonora Bigi della sezione Immigrazione della regione.


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