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Federalismo fiscale, le regioni autonome fanno da sé
L'intervento/A scapito della semplificazione si rischia un sistema frammentato

I comuni delle regioni a statuto speciale rischiano di essere fuori dal nuovo sistema tributario previsto dal decreto sul federalismo fiscale. È quanto scaturisce dalla lettura dell’art. 14, commi 2 e 3 del dlgs n. 23 del 2011, che non brillano certo di chiarezza, in quanto il comma 2 è diretto alle sole regioni a statuto speciale, il comma 3, invece, si rivolge alle province autonome ed alle regioni a statuto speciale che esercitano le funzioni in materia di finanza locale e non si applica, quindi alla Sicilia e alla Sardegna che non le svolgono. È bene innanzitutto ricordare che nei confronti dei territori autonomi le uniche norme di quest’ultima legge che trovano applicazione sono gli articoli 15, 22, e 27, come anche confermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 201 del 10 giugno 2010. L’art. 27, infatti prevede che dette autonomie debbano concorrere al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà e al patto di stabilità interno, «secondo criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti» da definire entro il termine di 24 mesi stabilito per l’emanazione dei decreti legislativi. E che sia istituito un «tavolo di confronto» tra il governo e ciascuna regione a statuto speciale e ciascuna provincia autonoma che deve individuare «linee guida, indirizzi e strumenti per valutare la congruità delle attribuzioni finanziarie ulteriori intervenute successivamente all’entrata in vigore degli statuti, verificandone la coerenza con i princìpi di cui alla presente legge e con i nuovi assetti della finanza pubblica». Questi tavoli sono stati istituiti, ma non sembra che abbiano effettivamente operato, con la conseguenza che si assiste a una rincorsa da parte di ogni singola regione o provincia autonoma all’approvazione di norme frettolose e mal coordinate che possano, però, assicurare una certa tranquillità finanziaria ad ognuna di esse. E infatti il comma 2 dell’art. 14 in esame stabilisce che nei confronti delle sole regioni a statuto speciale le disposizioni del decreto si applicano nel rispetto dei relativi statuti ed in conformità con le procedure previste dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009. In particolare: – nei casi in cui, in base alla legislazione vigente, alle regioni a statuto speciale spetta una compartecipazione al gettito dell’Irpef o al gettito degli altri tributi erariali, questa si intende riferita anche al gettito della cedolare secca, di nuova creazione; – bisogna stabilire la decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2, che dispone la devoluzione ai comuni della fiscalità immobiliare a decorrere dal 2011, nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto speciale; – bisogna fissare le percentuali delle compartecipazioni al gettito della cedolare secca; – con riferimento all’Imu, si deve tener conto anche dei tributi da essa sostituiti. Dopo la lettura delle norme è lecito chiedersi che cosa accade nelle province autonome di Trento e Bolzano, che pure erano contemplate nel testo originario ma il cui riferimento è stato stralciato all’ultimo momento, alle quali detta norma non si applica. La soluzione è in parte da ritrovare nel successivo comma 3 che prevede che nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome che esercitano le funzioni in materia di finanza locale: – le modalità di applicazione delle disposizioni relative alle nuove imposte comunali istituite con il decreto sono stabilite dalle autonomie speciali in conformità con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione; – per gli enti locali ubicati nel territorio di dette autonomie speciali non trova applicazione quanto previsto dall’art. 2, commi da 1 a 8; – a esse spettano le devoluzioni e le compartecipazioni al gettito delle entrate tributarie erariali nelle misure e con le modalità definite dagli statuti e dalle relative norme di attuazione per i tributi erariali o per quelli da essi sostituiti. Dalla lettura del comma 3 risulterebbe che: – il Friuli-Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige devono stabilire con proprie norme di attuazione le modalità di applicazione dell’imposta di soggiorno, dell’Imu e dell’imposta municipale secondaria, segnando così, una nuovo filone di interventi su tributi comunali derivati, con l’inserimento, cioè, di un altro ente territoriale tra lo stato che li istituisce ed il comune che è destinatario del gettito; – per gli enti locali ubicati in Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige non trovano applicazione le disposizioni dell’art. 2, commi da 1 a 8 che dispongono la devoluzione ai comuni a decorrere dal 2011 di tutta o parte del gettito della fiscalità immobiliare. Il comma 3 sembra, però, contrastare con il comma 2 che richiama l’intero art. 2 disponendo che occorre stabilire la decorrenza e le modalità di applicazione delle norme in esso previste nei confronti dei comuni ubicati nelle regioni a statuto speciale. Pertanto, per il Friuli-Venezia Giulia e la Valle d’Aosta occorre chiarire quali norme trovano applicazione, se cioè l’intero art. 2 o solo i commi diversi da quelli dall’1 all’8 e cioè i commi da 9 a 12 dedicati alla partecipazione dei comuni all’accertamento tributario contributivo; al sistema informativo della fiscalità e alle sanzioni amministrative previste per l’inadempimento degli obblighi di dichiarazione agli uffici dell’Agenzia del territorio degli immobili e delle variazioni di consistenza o di destinazione dei medesimi. Per la Sicilia e la Sardegna nessun problema: si applicherebbe il comma 2 dell’art. 14 dal momento che dette regioni non esercitano le funzioni in materia di finanza locale, che di per sé, però, non appare una ragione determinante per creare un’ulteriore differenziazione tra autonomie speciali nella individuazione dei tributi spettanti ai comuni. Molti sono gli interrogativi che rimangono aperti e si corre il rischio di avere un sistema tributario frammentato nel territorio nazionale, a tutto discapito della semplificazione, che pure era uno dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge n. 42 del 2009 cui avrebbe dovuto ispirarsi il legislatore delegato.


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