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Tassa telefonini, corsa ai rimborsi
Gli effetti di sentenze della giurisprudenza tributaria. Mentre il fisco mantiene la linea dura

Stop alla tassa di concessione governativa sui telefonini. E via libera, di conseguenza, alla possibilità, per amministrazioni locali, consumatori privati e imprese, di chiedere il rimborso. Proprio mentre il Fisco ribadisce la sua posizione, facendo intravedere uno scenario di muro contro muro. Le commissioni tributarie, infatti, hanno dato ragione agli enti pubblici (in genere comuni), che in alcuni casi possono già passare all’incasso. Ma il movimento si estende anche ai privati e alle imprese, allertati anche dalle associazioni dei consumatori, che stanno studiando una apposita class action. Tutto parte, dunque, dalla p.a. e, in particolare, dagli enti locali. Che hanno visto riconosciuto un loro diritto: non pagare la tassa di concessione governativa sugli abbonamenti dei cellulari. Le pubbliche amministrazioni che sottoscrivono contratti di abbonamento per la fornitura di servizi di telefonia mobile non sono, dunque, soggette al pagamento della tassa sulle concessioni governative. Lo ha riconosciuto espressamente il Fisco (si veda la circolare 44461 del 17/7/2001 dell’Agenzia delle entrate, direzione regionale Lazio) e lo ha attestato anche la giurisprudenza tributaria (sentenze della Commissione tributaria regionale Veneto del 17/1/2011 n. 4 – sez. XVII e del 10/1/2011 n. 5, sez. I) Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello stato, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende e amministrazioni dello stato a ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) e le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300/1999 (articolo 1, comma 2, del dlgs 165/2001). Secondo quanto stabilito dai giudici tributari (per esempio Commissione tributaria regionale del Veneto, sentenza del 5/1/11) la tassa di concessione governativa sui contratti riferiti ai servizi di telefonia mobile in capo agli enti locali, dunque, non è dovuta. La principale motivazione è l’abrogazione della normativa sulla tassa, per effetto dell’entrata in vigore del Codice delle telecomunicazioni elettroniche (dlgs n. 259/2003). Un’altra sentenza della Commissione tributaria regionale per il Veneto (n. 32/29/11 depositata il 23 marzo 2011) ha confermato la linea d’azione contro la tassa, con una pronuncia che è divenuta esecutiva, consentendo a un ente locale di recuperare ben 60 mila euro. Gli effetti della decisione, per quanto concerne gli enti locali interessati dalla pronuncia riguardano anche il futuro: sarebbe illogico continuare a pagare la tassa, mentre si ottiene il rimborso di quella pagata negli anni passati. Secondo una impostazione favorevole agli utenti si apre, ormai, per tutti la possibilità di chiedere il rimborso della tassa concessione governativa, anche ai cittadini privati titolari di un contratto di abbonamento. Le sentenze, infatti, non restringono la portata della loro interpretazione solo alle amministrazioni, e in particolare agli enti locali, ma formulano considerazioni, estensibili a tutti, sulla abrogazione tout court della tassa. Sempre stando alle sentenze è, infatti, venuta meno, con la privatizzazione del sevizio, la ragione stessa della concessione governativa, che presuppone logicamente una sorta di privativa per lo stato. È la privatizzazione del servizio il grimaldello per allargare a macchia d’olio gli effetti delle sentenze dei giudici tributari. La privatizzazione del servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione significa abbandonare il sistema basato sulla concessione della licenza da parte della pubblica amministrazione e ha fatto abbracciare il sistema del contratto, ispirato a una posizione di parità fra i contraenti. Su questi presupposti è venuta meno la ragione del tributo, e cioè il rapporto concessionario di tipo pubblicistico. Tra l’altro la questione è in attesa di una decisione anche da parte della giustizia comunitaria. Disponibili moduli di diffida ad hoc Partono le iniziative di massa per chiedere il rimborso della tassa di concessione governativa sui cellulari. Alcune associazioni hanno, per esempio, preparato un modulo di diffida da inviare alla propria compagnia telefonica. Vediamo la questione nel dettaglio. Secondo alcuni calcoli in presenza di un contratto di abbonamento telefonico il rimborso ammonta a 185,76 euro, pari alla tassa mensile, moltiplicata per l’ultimo triennio. Per un contratto di abbonamento aziendale, il rimborso sale a 464,76 (essendo il tributo pari a 12,91 /mese). Questo vale per ciascun contratto telefonico e, quindi, in presenza di più contratti il conto aumenta. Il primo passo che viene consigliato è di diffidare il proprio gestore dall’effettuare il relativo addebito per il futuro e di chiedere la restituzione di quanto pagato almeno nell’ultimo triennio. Si parla già anche di una class action, prospettando una restituzione per il periodo più lungo di dieci anni (ma occorre verificare il termine prescrizionale). La questione, per la verità, non è ancora assodata per i privati. In effetti le sentenze dei giudici tributari riguardano enti pubblici. Non è detto che la giurisprudenza assuma le medesime conclusioni, anche se le associazioni pensano, appunto, a cause pilota. Una questione particolare riguarda i termini per i rimborsi della tassa concessione governativa L’articolo 13 del dpr n. 641/1972 stabilisce che il contribuente può chiedere la restituzione delle tasse di concessione governativa «erroneamente pagate entro il termine di decadenza di tre anni a decorrere dal giorno del pagamento o, in caso di rifiuto dell’atto sottoposto a tassa, dalla data della comunicazione del rifiuto stesso». Tuttavia se venisse riconosciuta l’illegittimità della tassa stessa, si potrebbe anche configurare il caso dell’indebito pagamento e non dell’erroneo pagamento, il che renderebbe di dieci anni il termine a entro il quale chiedere il rimborso. Cosa diversa dalla richiesta di restituzione di versamenti erronei è, infatti, il versamento non dovuto di una tassa illegittima. L’articolo 13 del dpr n. 641/1972 citato, infatti, prevede il diritto alla restituzione di quanto erroneamente pagato, fissando il termine di decadenza di tre anni dal giorno del pagamento o, in caso di rifiuto dell’atto sottoposto a tassa, dalla data di comunicazione del rifiuto. Ma l’articolo 13 citato non si occupa dei pagamenti radicalmente non dovuti. Una cosa è dover chiedere la restituzione di una somma che è in sé dovuta, me che è stata versata in un importo non corretto; altra cosa è chiedere la restituzione di una somma che era illegittimo pagare e illegittimo ricevere in pagamento. L’illegittimità della tassa, infatti, comporta l’applicazione del termine ordinario decennale, previsto dal codice civile per la prescrizione del diritto alla ripetizione dei pagamenti indebiti. Più in dettaglio sulle modalità di rimborso le associazioni dei consumatori consigliano di inoltrare istanza di rimborso della tassa concessione governativa indebitamente versata; in caso di esplicito rifiuto o di silenzio rifiuto, decorsi 90 giorni dalla presentazione della stessa, è possibile ricorrere alla commissione tributaria provinciale competente. La domanda va inviata alla propria compagnia telefonica esclusivamente presso la sede legale a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, allegando copia delle fatture e delle ricevute di pagamento. Per interrompere il termine prescrizionale occorre inviare la stessa istanza anche presso l’Agenzia delle entrate di competenza. Colpo di spugna su tutti i presupposti del balzello La tassa non si paga perché è da ritenersi abrogata. L’articolo 21 della tariffa allegata al dpr641/1972, contenente il tributo, infatti, è da ritenersi implicitamente cancellato, per effetto del Codice delle comunicazioni elettroniche (dlgs 259/2003). Il Codice ha liberalizzato la fornitura dei servizi di comunicazione e ha espressamente abrogato l’articolo 318 del dpr 156/1973, relativo alla licenza per ogni singola stazione radioelettrica. Inoltre sempre il codice ha sostituito la figura del concessionario del servizio con quelle dell’operatore telefonico autorizzato e, infine, ha stabilito il passaggio dalla concessione (istituto del diritto amministrativo con posizione di primazia della pubblica amministrazione) al contratto (strumento di diritto privato tra soggetti in posizione di parità). Sulla base di queste considerazioni i giudici ritengono avvenuta, dunque, l’abrogazione tacita di tutta la normativa basata sul presupposto di un rapporto concessionario di tipo pubblicistico ed è, quindi, venuto meno il presupposto per l’applicazione della tassa di concessione governativa. Risulta abrogato dunque l’articolo 21 della tariffa allegata al dpr 641/1972, come anche l’art, 3 del dm n. 33 del 13/2/1990 (Commissione tributaria regionale Veneto, sez. I, sentenza 10 gennaio 2011 n. 5). Inoltre, trattandosi di tassa richiesta senza che lo stato fornisca alcuna controprestazione, se ne ravvisa l’incostituzionalità anche a fronte della non conformità all’ordinamento comunitario, che esclude balzelli di tale natura. Naturalmente non vi è solo la commissione tributaria del Veneto ad attestarsi su una posizione filo utente. Per esempio, la Commissione tributaria di Perugia (sentenza 15 febbraio 2011) ha messo in evidenza come la tassa di concessione sui telefoni cellulari trovava il suo presupposto impositivo nella «licenza di stazione radio» prevista dall’articolo 318 dpr 156/1973, ormai abrogato dall’ art. 218, dlgs 259/2003 («Codice delle comunicazioni elettroniche»), in vigore dal 16 settembre 2003.


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