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Cumulo indennità, giudici divisi
I magistrati contabili della Lombardia mettono in guardia dal rischio di danno erariale

Non sono cumulabili i gettoni di presenza per mandati elettivi ricoperti dallo stesso soggetto in due enti locali diversi. La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, col parere 31/3/2011, n. 166 risolve in modo molto netto il problema derivante dall’abolizione dell’articolo 82, comma 6, del dlgs 267/2000 ed apre, contestualmente, uno scontro interpretativo molto profondo con la giurisdizione dei Tar. Infatti, la questione della cumulabilità è stata vista e risolta in maniera diametralmente opposta, in particolare dalle sentenze Tar Puglia, Lecce, Sez. I, 12/2/2009, n. 219, Tar Veneto, sez. I, 19/2/2009, n. 3464 e Tar Piemonte, 3/12/2010, n. 4377. La tesi dei Tar. L’articolo 2, comma 25, della legge 244/2007 ha abolito il comma 6 dall’articolo 82 del dlgs 267/2000, il quale permetteva espressamente a un medesimo amministratore di cumulare gettoni di presenza relativi a mandati elettivi presso enti diversi. Secondo i giudici amministrativi, non è sufficiente il mero dato dell’abolizione dell’articolo 82, comma 6. Infatti, il dlgs 267/2000 pone un principio di remuneratività delle funzioni pubbliche elettive, sicché qualsiasi eccezione alla remunerazione di tali cariche deve essere disposta espressamente ed inequivocabilmente manifestata, non ricavabile indirettamente dalla ratio legis o da un’intenzione del legislatore, che nel caso di specie consiste nell’intento di ridurre i costi della politica. I Tar, dunque, rilevano che se da un lato è stata abolita la norma che permetteva espressamente il cumulo, dall’altro la legge finanziaria 244/2007 non aveva previsto alcun divieto espresso di corrispondere i gettoni di presenza nel caso una stessa persona svolgesse incarichi elettivi presso due enti locali. La posizione della Corte dei conti. La sezione Lombardia muove una serie di efficaci critiche giuridiche alla posizione, effettivamente poco persuasiva, delineata dai Tar, che viene esplicitamente qualificata come non condivisibile dai magistrati contabili, in quanto fondata su presupposti erronei. In primo luogo, la sezione Lombardia si sofferma sugli effetti delle norme di abrogazione, rilevando lucidamente che se una disposizione, una volta che sia stata abrogata, non è più applicabile, a maggior ragione non può ritenersi applicabile una norma «implicita», ricavata aliunde per via interpretativa, che avesse lo stesso contenuto. In altre parole, se il legislatore manifesta chiaramente di non volere più gli effetti di una disposizione allo scopo abolita, non occorre che, contestualmente vieti espressamente di applicare ciò che ha già abolito. Anche laddove, comunque, fosse ricavabile nell’ordinamento una regola implicita che consenta il cumulo essa, afferma la sezione, non può aver resistito all’abrogazione espressa della disposizione medesima. In secondo luogo, il principio secondo il quale se il legislatore avesse voluto vietare il cumulo avrebbe dovuto dirlo espressamente non può operare: infatti, esiste una disposizione abrogatrice che esprime pienamente la voluntas legis contraria al cumulo. Ancora, la sezione Lombardia ritiene pienamente fondata l’interpretazione sull’intento del legislatore: la legge 244 del 2007 ha inteso approvare norme finalizzate a contenere i costi per la rappresentanza nei consigli circoscrizionali, comunali, provinciali e degli assessori comunali e provinciali, così da ridurre il gravame di tali costi sulla finanza pubblica. Il parere della sezione conclude ricordando che a conferma del divieto del cumulo è recentemente entrato in vigore l’articolo 5, comma 11, del dl 78/2010, convertito in legge 122/2010 ai sensi del quale «chi è eletto o nominato in organi appartenenti a diversi livelli di governo non può comunque ricevere più di un emolumento, comunque denominato, a sua scelta». La norma non può che andare nella conferma della direzione del divieto del cumulo. Questioni applicative. L’inusitato scontro tra giurisdizioni pone questioni operative non secondarie. L’indirizzo della magistratura contabile è chiaro: mantenere in piedi il cumulo non risponde a corretti canoni di gestione finanziario-contabile e potrebbe esporre ad azioni di responsabilità. D’altro canto, le amministrazioni nei confronti delle quali si sono pronunciati i Tar debbono dare esecuzione a quelle sentenze. Appare evidente la maggiore fondatezza della posizione della magistratura contabile, appunto rafforzata di recente dalla manovra 2010. Le amministrazioni coinvolte dalle sentenze pare abbiano un vero e proprio onere di proporre nei loro confronti appello. Le altre è opportuno che si riferiscano alle conclusioni della Corte dei conti, per evitare problemi di responsabilità.


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