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Il fallimento delle ronde: al Nord sono solo dieci
Ordine pubblico fai da te. Gli osservatori volontari

La voglia di ronde è rimasta solo a Varese e dintorni. Lì le cosiddette associazioni di osservatori volontari iscritte nel registro della prefettura sono ben sette: una in città e il resto sparso sul territorio. Alcune ronde servono più comuni, che in nome della sicurezza si sono consorziati. Usciti, però, dalla provincia di Varese, di volontari dell’ordine pubblico si trova traccia solo a Milano (due associazioni di poliziotti) e in provincia di Treviso (una a Oderzo). Per il resto, niente. Le pagine di tutte le altre prefetture del Nord – dove la Lega ha il proprio cuore pulsante – sono rimaste bianche. Immacolate. Nessun iscritto a Torino, Asti, Cuneo. Zero associazioni a Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Novara, Pavia, Sondrio, Verbania. Il vuoto assoluto a Venezia, Vercelli, Vicenza, Bolzano, Trento, Udine, Pordenone. Neanche a parlarne, poi, a Bologna e Reggio Emilia. È il quadro che risulta dalle risposte delle singole prefetture. Inutile, infatti, cercare un monitoraggio sistematico presso il ministero dell’Interno, dove sostengono che la loro rilevazione per ora è parziale. Insomma, all’appello voluto dal partito di Umberto Bossi -che per avere le ronde ha fatto un forsennato pressing anche di fronte ai maldipancia della stessa maggioranza, tanto da inserirle nella primavera 2009 nel decreto legge sulla sicurezza, salvo poi dirottarle in un disegno di legge – non ha risposto praticamente nessuno. Sarà anche per questo che di recente la Lega ha proposto un disegno di legge sugli eserciti regionali, poi ritirato. Eppure all’epoca sembrava che gran parte del Nord non aspettasse altro: scendere in strada per garantire ordine e sicurezza. E ormai è trascorso quasi un biennio da allora, perché è nell’agosto 2009 che il regolamento ha dato piena attuazione alla norma sulle ronde. O, come si è deciso di ribattezzarle, degli “osservatori volontari”. Il decreto ha fissato rigidi paletti: le associazioni devono essere iscritte nel registro tenuto dalla prefettura, non devono essere riconducibili a movimenti politici o a tifoserie, devono svolgere la loro attività senza fini di lucro. I gruppi, poi, che vanno per strada devono essere formati al massimo da tre persone (di cui una con più di 25 anni di età), non devono avere con sé armi o altri oggetti, né cani, ma solo la ricetrasmittente o il telefonino con i quali mettersi in contatto con le forze di polizia. E devono essere riconoscibili mediante un giubbotto senza maniche di cui il decreto ha fissatole caratteristiche. Regole che hanno spento gli entusiasmi di chi non vedeva l’ora di trasformarsi in un guardiano della sicurezza assai più operativo. Da qui il fallimento. Che non si può certo imputare allo stop della Consulta, intervenuto, tra l’altro, l’estate scorsa. La Corte ha, infatti, censurato solo la parte che riconosceva agli osservatori la possibilità di segnalare anche situazioni di disagio sociale, settore che non può essere disciplinato dallo Stato, ma dalle regioni. È rimasto, dunque, intatto tutto il fronte della sicurezza pubblica. Ma le ronde continuano a latitare.


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