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Dopo la rinuncia al nucleare tutto diventa più difficile
IL PUNTO

La decisione del governo di rinunciare ad avviare la costruzione di centrali nucleari fornisce una risposta alla preoccupazione che si è diffusa nel mondo dopo il disastro giapponese ed era quindi sostanzialmente obbligata. Tuttavia ha un effetto psicologico pericoloso, perché sembra una resa nell’iniziativa per far uscire l’Italia dalla condizione di subalternità energetica che, oltre tutto, è una delle cause della lentezza della crescita per via di costi superiori che impone alla produzione ed è un fattore distorsivo anche delle relazioni internazionali, che ci obbligano a una relazione privilegiata con i paesi fornitori di idrocarburi. La sensazione di sconforto, di impotenza di fronte a problemi insormontabili, colpisce il governo, ma riguarda tutte le prospettive del paese, indipendentemente da chi ha la responsabilità temporanea di guidarlo. Diventa più urgente, da una parte, e insieme più arduo dall’altra, trovare il bandolo della matassa di una crescita più rapida, senza la quale l’incidenza del servizio del debito pubblico è destinata a deprimere le possibilità di sviluppo e di investimento pubblico. Il piano di riforme predisposto da Giulio Tremonti, che è la prima risposta a questa esigenza ormai vitale, è stato giudicato insufficiente da quasi tutti, il che è quasi sempre vero per ogni progetto che tenga conto realisticamente dei vincoli di bilancio. Tuttavia, se le numerose misure e iniziative, verso il Sud, verso il turismo, verso l’università, venissero attuate simultaneamente, un certo effetto lo avrebbero, e se alla rinuncia al nucleare si accompagnerà un impulso agli investimenti in energia rinnovabile, insufficiente com’è noto a risolvere il problema in termini globali ma comunque in grado di migliorare un po’ la situazione, l’effetto sulla crescita potrebbe essere ulteriormente aumentato. D’a-ltra parte non si vedono proposte alternative che rappresentino davvero l’indicazione di una strada diversa. Le proposte del maggiore partito di opposizione sui temi economici e produttivi sono più che altro una raccolta scoordinata di critiche accompagnate da qualche pulsione egualitaria, soprattutto in campo fiscale, ma in sostanza hanno un contenuto prevalentemente propagandistico. Non è il segnale di una incapacità, ma la conseguenza di una situazione in cui i margini di manovra sono strettissimi. In una situazione di questo tipo è imperativo tenere i conti pubblici in ordine, il che significa che si possono trovare risorse pubbliche da investire nello stimolo alla produzione solo disboscando le reti di interessi consociativi che appesantiscono le amministrazioni, il che è tutt’altro che semplice.


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