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Tremonti: sul deficit correzione necessaria, ma più lieve degli altri
Conti pubblici e sviluppo - Le audizioni in Parlamento

ROMA – La correzione dei conti pubblici «va fatta», ci sarà e sarà «come minimo dello 0,5% l’anno per due anni, nel 2013 e 2014», sarà quella richiesta da Bruxelles «tra le più basse al mondo». Verrà fatta, sì. Ma per il prossimo biennio, 2013-2014, «non in questo biennio». Lo ha detto ieri il ministro dell’economia Giulio Tremonti intervenendo all’audizione sul Documento di economia e finanza (Def) a Palazzo Madama, davanti alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato. «Tutto dipenderà dall’andamento dell’economia», ha subito precisato, parlando di correzioni. Questo significherebbe, dunque, una manovra di circa 7,5-8 miliardi l’anno, quindi 15-16 miliardi complessivi: non immediata. Incalzato dalle domande dei senatori sulla possibilità di una manovra correttiva già da quest’anno, o di correzioni più dolorose che potrebbero superare i 30 miliardi o sfiorare i 35 miliardi così come indicato dalla Banca d’Italia pari al 2,3% del Pil, il ministro ha osservato che l’Italia è in linea con gli altri stati e «non risulta che altri paesi europei abbiano fatto già adesso correzioni per il 2013 e il 2014». La correzione, ha precisato, sarà di un’entità stabilita con Bruxelles. E servirà a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2014: per questo «va fatta», ha convenuto ma ha anche puntualizzato che «quella chiesta all’Italia da Bruxelles è tra le più basse del mondo». «La nostra posizione non è particolarmente spiazzata», ha riferito. «Anzi confrontata con altri paesi si può verificare che tutti i sentieri che vanno seguiti per riportare in norma la posizione dell’Italia è diversa dalle rappresentazioni fatte da altre parti. Come percentuale la nostra posizione è piuttosto interessante». Ha poi ribadito che l’impegno verso la riduzione del deficit andrà accompagnato da «una modifica della Costituzione». Come richiesto dal nuovo patto per l’euro. E in quanto al capitolo ricerca, anch’esso nel nuovo patto, Tremonti ha annunciato che «il prossimo decreto conterrà il credito d’imposta del 90% perché riteniamo che ci sia il margine per finanziare nel modo più efficace la ricerca fatta nelle università e negli istituti» (si legga il servizio a pag. 5). «Ci poniamo l’obiettivo di una necessaria maggiore crescita, ma sui grandi numeri non vedo spiazzamenti rispetto agli altri Paesi», ha confermato il ministro, ribadendo l’impegno del governo nel Meridione: «dobbiamo concentrare gli sforzi soprattutto dove oggi la crescita è più bassa, al Mezzogiorno». Che si può fare di più il ministro lo ha sempre detto e lo ha confermato in audizione ieri: «in Italia sicuramente dobbiamo fare di più e possiamo farlo», ha ammesso, ricordando tuttavia che «la crescita è stata dell’1,3% con deficit al 4,6% del Pil, meno della metà, ad esempio, della Gran Bretagna». Il Def, contenente anche il piano nazionale di riforme, sono i documenti che l’Italia invierà a Bruxelles nell’ambito del semestre europeo e sono «aperti alle proposte delle forze politiche, economiche e sociali», è l’invito che il ministro ha rivolto parlando al Senato. Il documento presentato dal Governo su conti pubblici e riforme è «un gioco, un meccanismo che si apre a tutte le proposte». «Sono attesi i documenti dell’opposizione. Ma le proposte devono essere scritte con metrica europea. È molto attesa la parte propositiva», ha spiegato. «Siamo in attesa di questi documenti ed anche se i tempi sono limitati, abbiamo ancora margini per riceverli». Il governo è tuttavia pronto ad adottare «le prime azioni che riguarderanno Meridione, opere pubbliche, semplificazioni amministrative, edilizia privata, e riduzione dei costi per le imprese». Un «primo blocco che adotteremo nei prossimi giorni». Sulla riforma fiscale, un documento «fatto non solo da tecnici», «quando avremo dei dati», ha detto il ministro in risposta alle domande, «li porteremo in Parlamento». Della riforma fiscale, ha rilevato che «non è semplice farla». «Un solo paese la sta mettendo in cantiere ed è il Regno Unito. Noi ci stiamo lavorando con fortissimo impegno e cominciamo ad avere grandi linee su cui operare». Sul debito pubblico, e sulla necessità di abbatterlo, il ministro ha rilanciato una sua vecchia proposta: la vendita degli immobili pubblici per abbattere il debito. «Siamo convinti sia una via giusta ma la questione va vista nel contesto europeo, per avere l’approvazione». «Non l’abbiamo fatto in questo periodo perchè nel pieno della crisi non c’era la possibilità di montare uno strumento finanziario che raccogliesse i beni per poi metterli sul mercato. Ora – ha aggiunto – possiamo riprendere quel percorso: fermo che ai fini dell’abbattimento prima lo devi fare e poi lo puoi scomputare». Sulla ricapitalizzazione delle banche, il ministro si è limitato a dire che non si tratta di operazioni fatte per legge e che serviranno per lo sviluppo del paese. E sulla Cassa depositi e prestiti, oggetto di domande perchè attivata nell’operazione Parmalat e per la creazione di un fondo d’investimento, Tremonti ha chiarito che la Cdp serve già l’economia con 100 miliardi di investimenti, prevalentemente tramite gli enti locali, ma anche per le imprese e con garanzie. Il modello della Cassa, ci ha tenuto a precisare, non è “creativo”, «è quello della Cdc francese e della Kfw tedesca».


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