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Metà delle risorse nel cassetto
Beni culturali - Il ministero lancia l'allarme: Soprintendenze e Direzioni regionali incapaci di spendere i fondi disponibili

I soldi ci sono, bisogna riuscire a spenderli. Questa incapacità manageriale di programmare e monitorare la spesa del ministero per i Beni e le attività culturali (MiBac) dura da moltissimo tempo e il 31 dicembre 2010 ha registrato per l’ennesima volta nelle giacenze delle 324 contabilità speciali una disponibilità finanziaria di 545,2 milioni di euro, in pratica è restato in cassa il 55% del totale delle entrate, pari a 991,2 milioni, che già si trascinavano un saldo iniziale di cassa di 661,3 milioni. È dal 2006 che il MiBac, fatta eccezione nel 2009, non riesce a usare per tutelare e valorizzare il patrimonio culturale più del 50% delle risorse a sua disposizione attraverso tutte le direzioni regionali, soprintendenze, istituti, archivi e biblioteche. Ma chi non riesce a spendere, o meglio a investire, le risorse assegnate? Prima di tutto le Soprintendenze archeologiche e al paesaggio, che nel 2010 hanno impiegato 65 milioni a fronte di 175 in cassa (praticamente solo il 37% delle entrate) e le Direzioni regionali con 174 milioni spesi su 442 a disposizione (40%), se la sono cavata meglio le Soprintendenze Por (Piano Operativo Regionale) riuscite a spendere quasi il 70% delle risorse (16,6 su 23 milioni). A “soffrire” maggiormente sono proprio le Soprintendenze speciali, dove i residui passivi sono saliti fino al 68,4%: nei conti di tesoreria unica di Pompei restano da spendere oltre 28 milioni di euro su 50,4 (oltre il 57% del resto disponibile), la Soprintendenza speciale archeologica di Roma è ancora meno generosa, non riesce a utilizzare oltre 75 milioni (80%) su 94,9, il Polo museale veneziano il 78,4%, quello fiorentino il 65,9% e quello romano il 61,5%. Sono dati utili al nuovo ministro Giancarlo Galan forniti dalla Direzione generale per l’organizzazione e il bilancio che fotografano lo stato dell’attività del Ministero, per un anno praticamente ferma. Tra le regioni il Lazio ha in assoluto il maggior residuo passivo pari a 124 milioni, seguita dalla Toscana (49 milioni), mentre in termini percentuali di resto in cassa sulle entrate le Marche distribuiscono meno di tutti (oltre il 67,8% resta a disposizione) seguite dall’Emilia Romagna (65,4%), mentre Campania e Trentino sono le più virtuose con un rapporto del 31-28% tra il resto disponibile e le entrate. E mentre da Pompei al Colosseo si reclamano interventi urgenti, ci sono esempi virtuosi di sinergia tra pubblico – Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli ? e privato (la generosità di David Packard che sinora ha investito 15 milioni di euro) che hanno portato al recupero di Ercolano e alla riapertura del Decumano Massimo. Di certo la domanda di cultura cresce: nel 2010 il numero dei visitatori dei musei statali è salito del 16% e del 27% nei primi due mesi dell’anno. Incremento che viene da lontano: negli ultimi 15 anni sono aumentati di quasi dieci milioni i visitatori dei siti culturali italiani passando dai 25 milioni del ’96 ai 33,5 milioni di oggi. «Così com’è cresciuta l’offerta culturale: dai 333 siti del 1996 si è passati ai 460 attuali e l’indotto di questa industria è arrivata ad occupare un milione di addetti» ha dichiarato qualche giorno fa Antonia Pasqua Recchia, alla Direzione generale paesaggio. I soldi ci sono anche quest’anno, al 28 febbraio la disponibilità finanziaria era di 524,4 milioni sul totale delle entrate di 562 milioni, composte dal debito trasportato di 559,2 milioni e entrate affluite in gennaio per 2,8 milioni. Insomma ci sono la domanda di visitatori e i soldi, ma non le regole di management per far ripartire il Mibac e l’investimento in cultura. Perché? «I residui passivi sono a livelli elevatissimi da 17 anni quali che sia la maggioranza parlamentare e il Governo in carica: i fondi si perdono in 324 contabilità speciali, segno di grave disfunzione» spiega Giuseppe Pennisi nel Consiglio Superiore dei Beni Culturali. Che fare? «Il Ministro Tremonti dovrebbe fare ciò che fece, 20 anni fa, Giuliano Amato: azzerarle con un decreto improvviso, in modo da ripartire con la gamba giusta» invita Pennisi. «Spero che il nuovo Ministro Galan chieda risposte ai responsabili del ministero. Del resto sarà difficile che il Ministro dell’Economia continui a permettere questa situazione: l’applicazione della nuova legge di contabilità dello Stato prevede la loro abolizione e il decreto legge n. 78 del 2010 il definanziamento delle leggi di spesa totalmente non utilizzate negli ultimi tre anni». Il paradosso sembra inaccettabile: i soldi oggi ci sono, ma un domani se non verranno spesi potrebbero essere tagliati.


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