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Partecipate, Ici e immobili salvano il bilancio di Milano

MILANO – «Ridurre il ricorso a operazioni di natura straordinaria per raggiungere gli equilibri di bilancio grazie alla gestione ordinaria». Nel gergo asettico dei revisori sono parole che pesano come macigni sul bilancio 2010 del Comune di Milano. Parole che compaiono nelle conclusioni del rapporto di 55 pagine, consultato da Il Sole 24 Ore Lombardia, con cui Fabrizio Pezzani, Stefano Bellavite Pellegrini e Orlando Vetrano hanno accertato «la coerenza» del rendiconto del-l’amministrazione guidata da Letizia Moratti, invitandola tuttavia a «prendere coscienza della particolare gravità in cui versa la finanza pubblica». In pratica, ad agire con incisività sul contenimento dei costi e sulla governance delle partecipate, sorvegliando sulla loro gestione affinché sia «coerente con le finalità statutarie». I controllori dei conti alzano così il tiro rispetto all’anno scorso, quando già avevano raccomandato di «utilizzare i dividendi delle partecipate, ove possibile, per gli investimenti anziché per la spesa corrente». C’è un numero che sintetizza più di altri il 2010 di Palazzo Marino: senza componenti straordinarie, il conto economico comunale sarebbe stato in rosso di 22,8 milioni, il risultato peggiore degli ultimi tre anni. E se i trasferimenti da Roma sono calati di 37 milioni, è anche vero che c’è stato un balzo oltre le attese (per circa 29 milioni) del gettito Ici. Il risultato della gestione ordinaria, ovvero la differenza tra ricavi e costi, segna -41 milioni: in parole povere, l’azienda Milano non recupera quanto spende. Anzi, neppure con la solita maxi cedola staccata dalle società partecipate (120 milioni) riesce a fare pari, perché gli interessi sul debito (salito oltre 4,2 miliardi) portano il bilancio in rosso per quei fatidici 22,8 milioni. Ci vogliono i proventi straordinari, principalmente vendite immobiliari e recupero di residui attivi per complessivi 89,6 milioni, per salvare la baracca. «Bisogna ridurre la rigidità della struttura dei costi ed efficientare la contrazione della spesa corrente, anche tramite la puntuale responsabilizzazione di dirigenti e operatori», riassumono i revisori. Insomma, non basta incassare (i ricavi sono cresciuti di circa 450 milioni), ma bisogna soprattutto saper spendere. Ci sono anche, naturalmente, note positive. La gestione dei residui (voci di costi o ricavi incagliate da tempo), per esempio, ha portato un introito netto di circa 43 milioni mentre il saldo di cassa è arrivato a 990 milioni. Ma quando si parla di gestione delle partecipate, le parole dei revisori tornano a essere affilate come rasoi: «Si raccomanda di verificare l’allineamento tra obiettivi statutari e reali per non indebolire le prospettive di economicità, nel medio e lungo termine, delle aziende stesse». Traduzione: stop ai poltronifici e alle municipalizzate utilizzate per pagare cambiali politiche. I controllori dei conti puntano anche il dito sul maxi conferimento immobiliare (non propriamente attinente al-l’oggetto sociale) che funzionerà da aumento di capitale di Milano Sport. E infine caldeggiano una costante «verifica del perimetro delle società a valenza strategica», per evitare di profondere risorse in partecipazioni senza obiettivi realmente pubblici. Resta il nodo dei dividendi dalle partecipate. «Non sono da considerarsi come entrata ordinaria perché legati ad andamenti gestionali non prevedibili», avvisano i revisori, che in particolare accendono un faro sulla maxi cedola staccata Atm (in tutto per 55,5 milioni). «La nostra politica di dividendi non è stata aggressiva – ha dichiarato la Moratti in una recente intervista a Il Sole 24 Ore -. Come azionisti abbiamo sempre fatto la nostra parte». L’analisi dei controllori dei conti rivela tuttavia che, dal 2007 al 2010, Palazzo Marino ha incassato cedole per 464 milioni, senza considerare il 2006 e il bilancio previsivo 2011. L’esempio più lampante? A2A (già Aem Milano), definita dal sindaco «una società consolidata da tempo», negli stessi quattro anni, ha girato solo al Comune di Milano (che detiene il 27,5% delle quote) dividendi per 281 milioni e oggi, zavorrata da un debito vicino a 4 miliardi, è costretta a scendere con le mani legate sul ring di Edison contro i francesi di Edf.


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