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La confisca non scatta sull'intero valore d'appalto
Cassazione - Esteso alle persone fisiche il decreto 231

MILANO – Il corrispettivo della prestazione regolare non può essere oggetto di confisca. Lo aveva stabilito tempo fa la Cassazione, a Sezioni unite penali, in materia di applicazione del decreto 231 e, ora, la stessa Cassazione precisa che il medesimo principio deve essere applicato anche alle persone fisiche e non solo alle società. La Corte, infatti, con la sentenza n. 17064, depositata ieri, ha accolto il ricorso presentato da due imputati, che risultavano prestanome per conto del padre in una società in nome collettivo, nell’ambito di un procedimento per truffa ai danni di un Comune per l’appalto del servizio di smaltimento rifiuti. Il Gip di Latina aveva ritenuto di dovere procedere al sequestro preventivo in vista della confisca per equivalente delle quote degli imputati e dei beni della società per l’intero valore dell’appalto, stimato in 14 milioni di euro. La Cassazione ricorda il suo precedente del 2008 con la sentenza n. 26654 nella quale venne chiarito, in un procedimento per responsabilità amministrativa a carico di una società, che nella ricostruzione della nozione di profitto oggetto di confisca non si può fare ricorso solo a parametri di tipo aziendalistico, ma che, in ogni caso, la nozione non può essere dilatata sino ad arrivare a una sorta di duplicazione della sanzione quando c’è stato un adempimento anche solo parziale del contratto che ha permesso la realizzazione anche parziale di un’attività il cui risultato economico non è in diretto collegamento con il reato. Tutti principi che possono essere estesi anche a un procedimento contro persone fisiche e non solo contro una società. Il Gip, cioè, avrebbe dovuto valutare con attenzione, e darne conto nella motivazione del provvedimento adottato, se, oltre all’esistenza di un vantaggio economico direttamente legato alla truffa, che poteva essere oggetto di confisca, non ci fosse però anche una parte di incremento economico provocato da una prestazione lecita effettuata a favore del Comune parte lesa del reato. Infatti, chiarisce il principio di diritto enunciato dalla Corte, «il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure».


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