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Più chiara la divisione di poteri e competenze
Le linee guida - Sprint alla diffusione grazie all'impostazione del Testo unico

In attesa di conoscere il testo che sarà licenziato dal Consiglio dei ministri, sulla riforma dell’apprendistato il punto certo è che il provvedimento dovrebbe assumere la forma di un Testo Unico, nel quale si concentrerebbero tutte le norme che regolano la materia (oggi sparse tra la legge Biagi, il codice civile e alcune norme speciali). Questa impostazione darebbe un aiuto non indifferente a chi dovrà interpretare e applicare le nuove norme. Le innovazioni più importanti riguardano, però, il contenuto concreto della nuova disciplina. L’impostazione che sembra prevalere è quella di salvare il “modello” costruito dalla legge Biagi, che aveva indubbie potenzialità, modificando invece le regole di attuazione di questo modello, che hanno dato luogo a un pesante conflitto tra Stato e Regioni e, più in generale, hanno generato una disciplina troppo complessa. In particolare, dovrebbe essere confermata l’impostazione che, accanto a una disciplina unitaria del rapporto di lavoro, contempla una disciplina differenziata su tre diversi percorsi di formazione; il conseguimento di una qualifica, l’apprendimento di un mestiere, lo svolgimento di percorsi di alta formazione. Questo modello dovrebbe essere attuato con regole nuove e più semplici, per quanto riguarda la parte formativa del rapporto. Nella situazione attuale, una oscura suddivisione di compiti tra Stato, Regioni e contrattazione collettiva ha favorito la crescita e la stratificazione di norme eterogenee tra loro, che hanno reso complicata persino la semplice stesura del contratto di assunzione del giovane apprendista. Secondo il progetto di riforma, spetterebbe alla contrattazione collettiva il compito esclusivo di regolare la formazione che il lavoratore svolge nell’ambito dell’apprendistato professionalizzante (quello di maggiore diffusione) mentre le Regioni dovrebbero limitarsi a disciplinare e organizzare l’offerta formativa di base, senza interferenze con la disciplina collettiva. Si tratterebbe di una scelta importante e condivisibile; è impensabile che, in un mondo globalizzato, un’impresa debba applicare regole diverse da Roma a Firenze per fare la formazione in azienda. Certamente, questa scelta non sarebbe indolore, in quanto le Regioni potrebbero fare leva sulle indubbie zone grigie che la riforma del Titolo V del 2001 ha creato circa i confini delle potestà legislative per lamentare una lesione delle proprie competenze; ma è auspicabile che si trovi un consenso preventivo su questi aspetti, in quanto l’esperienza dimostra che questi conflitti danneggiano in primo luogo i giovani e le imprese, che faticano ad accedere a un contratto molto importante per il primo inserimento nel mondo del lavoro. Anche per le altre due tipologie di apprendistato, quello che riguarda l’acquisizione della qualifica professione e quello destinato all’alta formazione e alla ricerca, sembra emergere la volontà di semplificare.


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